mercoledì 24 aprile 2019

William Butler Yeats 2 poesie dedicate a Bisanzio






Sailing to Byzantium

I

That is no country for old men. The young
In one another's arms, birds in the trees,
—Those dying generations—at their song,
The salmon-falls, the mackerel-crowded seas,
Fish, flesh, or fowl, commend all summer long
Whatever is begotten, born, and dies.
Caught in that sensual music all neglect
Monuments of unageing intellect.


II

An aged man is but a paltry thing,
A tattered coat upon a stick, unless
Soul clap its hands and sing, and louder sing
For every tatter in its mortal dress,
Nor is there singing school but studying
Monuments of its own magnificence;
And therefore I have sailed the seas and come
To the holy city of Byzantium.


III

O sages standing in God's holy fire
As in the gold mosaic of a wall,
Come from the holy fire, perne in a gyre,
And be the singing-masters of my soul.
Consume my heart away; sick with desire
And fastened to a dying animal
It knows not what it is; and gather me
Into the artifice of eternity.


IV

Once out of nature I shall never take
My bodily form from any natural thing,
But such a form as Grecian goldsmiths make
Of hammered gold and gold enamelling
To keep a drowsy Emperor awake;
Or set upon a golden bough to sing
To lords and ladies of Byzantium
Of what is past, or passing, or to come.

W. B. Yeats, “Sailing to Byzantium” from The Poems of W. B. Yeats: A New Edition, edited by Richard J. Finneran. Copyright 1933 by Macmillan Publishing Company, renewed © 1961 by Georgie Yeats. Reprinted with the permission of A. P. Watt, Ltd. on behalf of Michael Yeats.
Source: The Collected Poems of W. B. Yeats (1989) - da  https://www.poetryfoundation.org/poems/43291/sailing-to-byzantium



VERSO BISANZIO

I.


Quello non è un paese per vecchi. I giovani

L’uno nelle braccia dell’altro, gli uccelli sugli alberi
– Quelle  generazioni mortali – intenti al loro canto,
Le cascate ricche di salmoni, i mari gremiti di sgombri,
Pesce, carne, o volatile, per tutta l'estate non fanno che esaltare
Tutto ciò che è generato, che nasce, e che muore.
Presi da quella musica sensuale tutti trascurano
I monumenti dell’intelletto che non invecchia.

II.


Un uomo anziano non è che una cosa miserabile,

Una giacca stracciata su un bastone, a meno che
L’anima non batta le mani e canti, e canti più forte
Per ogni strappo nel suo abito mortale,
Né v’è altra scuola di canto se non lo studio
Dei monumenti della sua magnificenza;
E per questo io ho veleggiato sui mari e sono giunto
Alla sacra città di Bisanzio.

III.


O saggi che state nel fuoco sacro di Dio

Come nel mosaico dorato d’una parete,
Scendete dal sacro fuoco, discendete in una spirale,
E siate i maestri di canto della mia anima.
Consumate del tutto il mio cuore; malato di desiderio
E legato a un animale mortale,
Non sa quello che è; e accoglietemi
Nell’artificio dell'eternità.

IV.


Una volta fuori dalla natura non assumerò mai più

La mia forma corporea da una qualsiasi cosa naturale
Ma una forma quale creano gli orefici greci
Di oro battuto e di sfoglia d’oro
Per tener desto un Imperatore sonnolento;
Oppure posato su un ramo dorato a cantare
Ai signori e alle dame di Bisanzio
Di ciò che è passato, o che è, o che sarà.

Traduzione di Giorgio Melchiorri


da Quaranta poesie, Einaudi, 1965

Bisanzio - William Butler Yeats

Le nitide immagini del giorno svaniscono;
la soldatesca ubriaca dell’Imperatore va a dormire;
la risonanza della notte recede, il canto dei nottambuli
risuona dietro la grande cattedrale;
Una cupola accesa da luce di stelle o di luna disdegna
tutto ciò che è uomo,
tutte le mere complessità,
la furia e il fango delle vene umane


Davanti a me fluttua un’immagine, uomo o ombra,
ombra più che uomo, più immagine che ombra;
perché la vorticante spola di Ade che avvolge bende di mummia
può sdipanare il cammino dipanato;
una bocca senza umidità né respiro
può adunare bocche irrespirate;
saluto il sovrumano;
lo chiamo morte in vita e vita in morte.


Miracolo, uccello o aureo manufatto,
miracolo più che uccello o manufatto,
aggrappatopiantato alla luce delle stelle sul suo ramo d'oro,
può come i galli di Ade cantare,
o, dalla luna inasprito, schernire forte
in gloria di metallo immutabile,
l'uccello comune o il petalo
ed ogni complessità di fango e sangue.


A mezzanotte sul segreto impiantito dell’imperatore
fiamme che nessuna fascina alimenta, né alcun acciarino ha acceso,
né alcun temporale molesta, fiamme generate da fiamma,
dove gli spiriti generati dal sangue vengono
e allentano ogni complessità della furia,
morendo in una danza,
un’agonia di estasi,
un’agonia di fiamma che non può bruciare un manicotto.


A cavalcioni del fango e del sangue del delfino,
spirito dopo spirito! Gli artigiani fendono l’onda,
gli orefici dell’Imperatore!
I marmi dell’impiantito della danza
rompono le amare furie della complessità,
quella immagini che ancora
fresche immagini generano,
quel mare solcato dal delfino, percosso dal gong.


V. il saggio di Silvia Ronchey:


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