domenica 6 settembre 2015

arte sacra contemporanea - fernanda mancini

Articolo pubblicato da "il nostro tempo" del 19/7/2015

Città Natura Architettura e Arte Sacra. Diocesi di Terni Narni Amelia, a cura di Mariano Apa, Francesco Mondadori editore, 2015, euro 20.


Il triangolo Terni Amalia Narni nasconde un vero tesoro d'arte contemporanea, per scoprirlo basta entrare nelle sue chiese, un po' come da secoli si va in Vaticano per vedere Michelangelo o Raffaello. Si potranno così ammirare tra l'altro le tre porte di metallo traforato e sagomato che Bruno Ceccobelli ha fatto per la Cattedrale di Terni, i grandi olii di Stefano di Stasio in Santa Maria della Pace a Terni, oppure Mimmo Paladino in San Lorenzo a Narni. In questo libro, curato da Mariano Apa, troviamo, accanto ad approfondite indicazioni, il tracciato di una storia locale ed internazionale ancora tutta da scrivere, che ci sorprende non poco, perché poco è conosciuta. Attraverso la nuova  architettura e arte sacra, su cui sembrano soffiare venti conciliari,  si va consapevolmente delineando il progetto di collocare questa terra d'Umbria in una tessitura storica e culturale che è al tempo stesso d'Italia e d'Europa.

Il libro tratta della progettazione e realizzazione di chiese e opere d' arte destinate al loro arredo, a far data dal giubileo dell'anno 2000 fino al 2014, realizzate grazie all'operato del Vescovo della Diocesi di Terni Narni Amelia Vincenzo Paglia, che della diocesi fu Vescovo dal 2000 fino a tutto il 2013, quando al suo posto venne eletto Giuseppe Piemontese, rimanendone Paglia  vescovo emerito. Le linee della sua volontà e operato sono sostenute dalla convinzione che " la mediazione dell'arte - come egli stesso scrive - riesce a rendere vive le testimonianze della fede...Se è vero che, in epoca di globalizzazione, una nuova identità è necessaria, diventa indispensabile l'aiuto dell'arte per dire in maniera sempre nuova la verità antica della salvezza annunciata dal Vangelo", nascono così quei gioielli di arte sacra contemporanea come l' affresco di Ricardo Cinalli dedicato al Vescovo martire Romero e l'iconografia bizantina rivisitata attraverso il confronto con l'arte occidentale, degli artisti russi Chernoritskij e Sokolova a Terni, a mostra di come la vocazione internazionale del passato di questa terra permanga nell'attualità ideativa dell'oggi, rinnovata nell'ascolto delle moderne esigenze e sensibilità.  
Alla fine di ogni capitolo, l'utilissimo apparato iconografico permette di seguire passo passo dal "vivo" dell'immagine, l'opera di cui le parole dicono. Utilissima è poi la collocazione, alla chiusa di quasi ogni capitolo, di una appendice dedicata agli approfondimenti tematici, che non vengono così ad appesantire lo scorrere sciolto e veloce della lettura, e consentono di seguire lo snodarsi concettuale delle problematiche con chiarezza e distinzione concettuale.  
Nella cattedrale di Terni il ridisegnamento di alcune importanti zone è stato affidato all'architetto Abruzzini, la cui "architettura - scrive Mariano Apa - è propriamente disposta sui termini della cultura del neorazionalismo italiano" e si rifà in particolare alla stagione post piacentiniana.
Santa Maria della Pace ha visto invece il contributo di Paolo Portoghesi, notoriamente architetto della postmodernità, il quale nello spazio delle Appendici racconta entusiasta e entusiasmante il percorso concettuale compiuto nell'ideazione di questo progetto. Processo di ideazione che ha preso le mosse da Le Corbusier, attraversato dalla mediazione di padre Regamey, dalla simbolica della stella-rosa mistica, mediata questa tra gli altri da Dante Petrarca San Bernardino Verlaine, dalla coniugazione della stella con il mistero dei numeri e della geometria per un'architettura vissuta per il culto e la liturgia, nello sforzo di dare sostanza e tradurre nella pratica dell'edificio gli altrimenti opachi, perché astratti, numero e geometria, di vivificarli attraverso la loro concretizzazione nel simbolo, solo capace di comunicare l'indicibile.
L'architettonica del libro esprime, attraverso lo snodarsi coerente dei capitoli, la trama di rapporti e scambi culturali nello spazio e nel tempo, che dall'Umbria si dipartono dapprima verso le regioni confinanti, e poi anche e soprattutto verso la Grecia, l'Europa del nord, la Francia, la Russia, in un tensione creativa e politica a far inizio dai primi secoli del cristianesimo ai nostri giorni post post-moderni, forte tessuto connettente, un micelio in cui cercare le articolate radici di ciò che chiamiamo Europa.
Ciò che abbiamo trovato di particolare interesse, è il capitolo in cui si parla della ristrutturazione dell'ingresso alla cripta di S. Benedetto a Norcia, vero gioiello architettonico realizzato da Adelbert Gresnicht nel 1912, che lo ridisegnò completamente con archi e marmi e ne scolpì ai lati due leoni.
Gresnicht fu architetto pittore scultore e lavorò intensamente per es. a S. Anselmo in Roma, ma anche in Brasile, America del Nord, Cina, è una figura chiave che ci collega direttamente alla Francia, grazie alla sua frequentazione di Gide e dell'ambiente fiorentino legato ai pittori Sérusier e Verkade, i quali avevano seguito Gauguin direttamente a Pont Aven o a Parigi, sul finire degli anni ottanta del secolo XIX, e che in seguito confluirono nel gruppo dei Nabis, gruppo di grande importanza anche secondo l'aspetto geografico, perché estese le coordinate della pittura gauguiniana dalla Francia al Belgio Olanda Germania.
Ma soprattutto Gresnicht portava in Umbria la cultura tedesca da cui proveniva, fu infatti monaco benedettino in Baviera alla scuola d'arte di Beuron, tanto che ebbe l'incarico di Norcia grazie all'impegno di Lenz, che della scuola era stato il fondatore e che lo indicò come la persona adatta per quei lavori in cripta.
Lo stesso Lenz, da giovane monaco pittore, aveva affrescato l'abbazia di Montecassino secondo i criteri della sua arte. Essa si basava sul Canone, un insieme di regole che Lenz sviluppò in seguito agli studi, compiuti a Roma e Monaco, dell'arte greca e soprattutto di quella egizia. Si trattava per lui di sviluppare un'arte fatta di stabilità di forma e di caratteri immutabili, in contrasto con la variabilità della percezione soggettiva. Questi caratteri sono fondamentalmente di ordine matematico e geometrico, e Lenz li ritrovò nella natura, e, in una forma già elaborata, nell'arte egizia, che della natura fu attenta indagatrice. Ancora una volta ci troviamo, come nel lavoro di Renzo Piano di cui abbiamo detto sopra, davanti all'enigma del numero, dell'armonia geometrica, del simbolo.

Natura-cultura, i kimono di Shimura

Al museo Bröhan di Berlino, nel quartiere di Charlottenburg, è in corso (fino al 6 settembre) la mostra " Kimono", che è innanzitutto un silenzioso indiretto ma concreto omaggio alle vittime delle bombe atomiche nel settantesimo anniversario dei bombardamenti sul Giappone. Si tratta di mostra di chimoni e tele prodotti da due generazioni, Fukumi Shimura la madre e Yoko Shimura la figlia, che coniugano nell'oggi la cultura giapponese tradizionale del vestire e del sentirsi parte del tutto con la vocazione internazionale del sentirsi in sintonia con popoli e culture geograficamente lontane, nella convinzione che ogni cultura è parte della terra della natura del cosmo. Così in un kimono è incastonata con filo d'oro la parola "Opera", omaggio ad una raccolta di poesie giapponesi del '700 e insieme all'opera italiana, un'altra si intitola " Othello ",  una ancora " Santa Clara " , la santa amica di san Francesco, con la cui scelta di povertà e dedizione le Shimura si sono sentite molto in sintonia, visitando gli affreschi di Assisi, Tagore inspira un'altro chimono, colorato con erbe indiane, " Isfahan ", " Cattedrale bianca ", oppure una tela in cui è incastonato un ritratto ispirato alla "Dama con ermellino" di Leonardo da Vinci. La loro ispirazione può venire da una poesia, un prato, un corso d'acqua, comunque si tratta sempre di un sentimento che traducono in colore e forma . " In ' Vento sul campo ' , scrive Fukumi, ho rappresentato l'immagine del vento, che morbido accarezza i campi, nella forma di un abito del teatro No ".

 Il delizioso museo che ospita la mostra è esclusivamente dedicato all'arte liberty e deco, una collezione di mobili quadri e oggetti preziosi iniziata una generazione fa da Karl H. Bröhan e proseguita ora dal figlio. Il posto giusto per ospitare questa espressione attuale dell'arte,  giapponese che tanta parte ebbe in quella europea di fine '800 e inizio '900.

Al primo piano trovano il loro habitat naturale i kimoni di Fukumi  e Yoko Shimura, "dopo Parigi siamo riusciti ad averla noi questa mostra, vincendo su molte altre istituzione che l'avrebbero voluta" mi dice orgoglioso il custode con cui mi intrattengo all'uscita, consapevole dell'omaggio silenzioso che la mostra rende ai morti per le bombe atomiche sganciate dagli americani sul Giappone nell'ultimo conflitto mondiale. Dopo Berlino la mostra tornerà in Giappone. 

Fukumi Shimura, nata nel 1924 nel Kansai,  ha iniziato subito dopo la seconda guerra mondiale a raccogliere erbe, produrci colori tingere fili di seta tesserli e formarne chimoni. Ogni erba una storia un solo particolare colore una stoffa. Questa sua arte è molto apprezzata in Giappone, dove Fukumi nel 1990 è stata nominata monumento nazionale vivente, e dove ha collezionati numerosissimi premi e medaglie, tanto che, oltre alla scuola e galleria " Ars Shimura " a Okazaki presso Kyoto, ha appena aperto una succursale a Sagano. La figlia Yoko, nata nel 1950, lavora con la madre dal 1981.
Subito dopo le sale dedicate ai chimono, il museo ha organizzato l'esposizione di alcuni pezzi della propria collezione ispirati al Giappone, e cosa molto interessante, in ogni vetrina, accanto alle indicazioni dei singoli pezzi, è esposta la foto e le indicazioni dell'oggetto giapponese da cui l'artista europeo si era lasciato ispirare.
Le signore Shimura fanno da sole i colori per le tinture, assolutamente naturali, pestando e bollendo i vegetali che si fanno arrivare dalle isole dell'arcipelago giapponese. È qui che si nasconde la filosofia della loro arte, ispirata oltre che allo Zen del proprio bagaglio culturale, alla teoria dei colori di Goethe, studiata con particolare cura e costanza, all'afflato cosmico dell'idealismo del filosofo tedesco Schelling e alla teosofia di Steiner, molti i loro libri e le pubblicazioni al riguardo, perché ritengono che i colori siano un mezzo fondamentale di espressione personale e insieme universale, non un'emozione passeggera, ma una realtà da studiare, meditare, ridare nel concreto della seta.

Un filmato ci fa vedere la loro casa, l'atelier, il giardino, mentre ci arriva dalle loro voci la profonda consapevolezza  di ciò che fanno e che ci guida ad entrare nel loro personale giardino zen, fatto di chimoni dai colori delicati, che restituiscono in forma di energia vitale, a chi li indossi o anche solo li ammiri per pochi minuti in queste sale,  tutta l'armonia e il coraggio della natura da cui provengono.
Poi naturalmente, per chi sia curioso, oltre ai chimono può visitare il resto del museo e vedere così dei pezzi unici, frutto dell'amore collezionista di due generazioni per un'arte in fondo tanto vicina a noi eppure già così lontana che per gustarla si va a Barcellona dal Gaudì o ci si aggira per i mercatini di Praga e Bruxelles.