Gerhard Altenbourg, "Das
gezeichnete Ich" (l'io disegnato-segnato), in mostra disegni, acquerelli e
incisioni delle nuove acquisizioni del Kupferstichkabinett di Berlino dalle
collezioni Solgärd e Rolf Walter, insieme con le opere già in possesso del
museo.
Tutti i lavori sono su carta.
Al Kupferstichkabinett di Berlino fino al 7/6/2015
Il catalogo "Das gezeichnete Ich" è curato da Anita Beloubek-Hammer
per le edizioni Michael Imhof, 22 euro.
Gerhard Altenbourg (1929-1989) è un artista complesso, difficile da contenere
in abituali categorie. La sua, scrive Heinrich Schulze Altcappenberg
nell'incipit del catalogo che accompagna la mostra, " è la storia tedesco-tedesco
di un artista...come non sta ancora in nessun libro". Per scriverla
occorre lasciare i pregiudizi con i quali ci siamo abituati a considerare le
storie e i rapporti tra le due parti della Germania, divisa in est e ovest dopo
la seconda Guerra Mondiale e riunificata nel 1990. Fuorviante cercare di capire
Altenbourg sul filo della facile "Nostalgie", moda di giornali e film
maker.
Altenbourg fu artista apprezzato, esposto e comprato nella Germania dell'est e
dell'ovest. Ad est ebbe anche problemi con il regime comunista, all'ovest la
sua arte era fortemente eccentrica rispetto all'invasione culturale americana
del dopoguerra, la cultura unica che si impossessò del mercato e delle
accademie della parte ovest della Germania con l'arte astratta e la pop art. Fu
essenzialmente un isolato, anzi volutamente tagliò i rapporti con quasi tutti,
e si confinò ad Altenburg (a segnare la sua appartenenza a questa città e a
questa terra, aveva cambiato il proprio nome –Störch- francesizzandolo però in
Altenbourg, per testimoniare l’universalità della cultura), la cittadina ai
margini della quale abitò, con la sorella, la casa di famiglia. Eppure mantenne
rapporti importanti, all’est e all’ovest, era informatissimo e viaggiava. Gli
amici vollero e poterono costruire per lui un ponte culturale tra est e ovest,
gli procuravano i libri, i cataloghi e le riviste di cui aveva bisogno, lo
informavano delle novità, gli organizzavano mostre, collezionavano sue opere, e
vinceva premi.
La città di Altenburg aveva una forte comunità battista,
predicatore ne era stato il padre dell'artista, Ugo Störch, che vi si era
trasferito nel 1929 con la moglie e i tre figli. Gli insegnamenti evangelici e
il senso profondo di amore cristiano, esercitato nel sentimento di appartenenza
morale ed etica alla società, predicati e praticati dal padre, si radicarono
profondamente in Altenbourg, che soprattutto fece suo il senso di pessimismo
esistenziale di un mondo in cui la grazia arriva non per meriti, e in cui
l'inconoscibilità di Dio è alla base della teologia negativa, secondo la quale
non si può conoscere Dio se non per ciò che non è.
Richiamato nell'esercito a 17 anni, uccide in Polonia un soldato russo. Lo
uccise con la baionetta, ne cercò il portafoglio, vi trovò la foto della
famiglia. Non superò mai questo accadimento, di cui non amò parlare se non con
pochi intimi, e che divenne il perno affettivo e teoretico della sua vita e
della sua arte. Dal conflitto tra l'educazione cristiana e la brutalità della
guerra si sviluppò la sua riflessione sull'abissalità della natura umana.
Ben presto, negli anni ’50, si stacca da ogni coinvolgimento politico,
"non ho pensieri politici, perché il mio pensiero va oltre le forme della
società", e ancora più avanti "quando disegno esco dalla dimensione
del tempo". Legge Gottfried Benn e condivide il pensiero che alla fine ci
siano solo due cose, il vuoto e l'io segnato. L'io segnato, da cui appunto il
titolo di questa mostra, ha una doppia valenza e segna un’acquisizione di
consapevolezza fondamentale nella vita di Altenbourg. L’io segnato non è solo
l'io disegnato dall'artista, ma anche quell' io in cui la doppia valenza di io
e mondo esterno si rovescia costantemente, così che il disegnato diviene una
sorta di parabola e il disegno diviene segno che penetra la pelle dell'artista,
una capacità di comprensione impossibile in altro modo, è l'occhio paradossalmente
esterno che guarda l'articolazione interna dell'io, il corpo si fa paesaggio,
il paesaggio, la natura, ripropone l'intima unità del corpo col corpo, un unico
plasma di nervi l'abisso dell'uomo e quello del mondo : non c'è che il vuoto su
cui è sospeso l'io segnato. Non c'è redenzione, neppure nella Natura, il
carnefice è insieme anche vittima.
Un incontro di importanza determinante lo attende alla fine della guerra,
quando, dopo la convalescenza nei lazzaretti militari, torna a casa e
frequenta, dal 1948 al 1950, l'Accademia d'Arte di Weimar. Suo maestro è
Hanns Hoffmann-Lederer, la cui biografia compendia la storia culturale e artistica
della Germania prenazista. Ha studiato infatti al Bauhaus con Klee, Gropius e
soprattutto Itten (detto il monaco, praticante ascesi e geometria), di qui le
idee che costituiscono l'essenza del suo insegnamento a Weimar, primo tra tutti
che l'arte raccoglie e rinnova nel presente l'eredità del passato. Questo
bagaglio culturale e tecnico arriva direttamente ad Altenbourg, che lo coniuga
secondo la sua personalissima cifra, in trasparenza nelle sue opere la vecchia
scuola tedesca, Klee, Max Ernst, Kaspar Friedrich e i Romantici, ma anche Redon
e molti altri.
Tra il 1949 e 1950 disegna tre "Ecce Homo", di cui uno in mostra, di
grandi dimensioni, iconici anzi monumentali. Proviamo a considerarli come
componessero un trittico, in un percorso immaginariamente cinetico (più tardi,
in un suo libro d’arte, sulla scorta del richiamo a Wittgenstein,
Altenbourg parla della proiezione cinetica come del processo estetico in
cui le forme e le strutture del mondo si mostrano, all’interno di uno spazio
artistico, nel loro continuo divenire entropico).
Il primo “Ecce Homo” raffigura Cristo in croce, ferito, e, come in una ripresa
filmica, Altenbourg concentra lo zoom della nostra attenzione sulla ferita, sul
male che sta sulla superficie della pelle. Il secondo ha nell'esteriorità
dell'aspetto un chiaro richiamo al militaresco e al sociale, è l'aspetto
esteriore del male. Il terzo, quello in mostra, (281x158, carboncino e grafite
su carta) come una immaginaria pala centrale, è la sintesi, il male subíto e
quello arrecato, è il male che deturpa l'interno a muovere dall'interno, perché
l'io segnato è l'unità dell'interno e dell'esterno, è la ferita in interiore
homine, che è perciò anche in superficie. L'anatomia disegnata è orrore e
dolore dell’io segnato, ricorda i solchi scavati nella terra o i percorsi delle
radici, " Das sind die Wege wurzelentlang" (queste i percorsi seguendo
le radici) è un'incisione del 1974, "Wurzel-Melencolia"
(radici-melancolia) litografia del 1971,
qui e in tantissimi altri lavori la natura e l'uomo sono fatti della stessa
materia, l'io e il mondo si rovesciano e si scambiano, e sono uno.
Innumerevoli le opere in cui traspare il costante lavorio interiore
dell'artista attorno a problematiche filosofiche e cristiane, così “Stephanus”,
litografia del 1949 (51x41) dove, cacciato dall'Accademia, si raffigura come il
primo martire cristiano che non ha abiurato il suo credo. La "Madonna
dunkel" (Madonna scura), litografia del 1950, tiene in mano la tromba
dell'angelo dell'ultimo giorno, e segnati sul braccio stelle, triangoli,
circonferenze e quadrati che ricordano concettualmente le geometrie di Itten.
"Pfarrer und Mokka", litografia del 1950 (46,5x57) su cui scrisse
christliches Blatt (foglio cristiano).
L'iconica “Herüber von Byzanz” (di qua di Bisanzio), tempera e tecnica mista
del 1971/2 ( 66,7x44,8). Qui il fondo è linea-ornamento-gloria-del-creato,
testa e spalle paesaggio naturale, Bisanzio è unità di uomo, organico, inorganico,
è ascesi e silenzio perduti in occidente, dove regna il denaro, il consumo, il
potere. A sfondo, insieme universalmente eppure anche concretamente critico, le
sue parole “quando disegno esco dalla dimensione del tempo”, e viene in mente
il Thomas Mann di Le Storie di Giuseppe.
Muore in un incidente d’auto la notte del 30 dicembre 1989. Il muro era caduto,
la vita di Altenbourg-Störch finiva.