domenica 28 aprile 2019

Paradiso, XXXIII, 115-145



Ne la profonda e chiara sussistenza
de l'alto lume parvermi tre giri
di tre colori e d'una contenenza;                117
e l'un da l'altro come iri da iri
parea reflesso, e 'l terzo parea foco
che quinci e quindi igualmente si spiri.                120
Oh quanto è corto il dire e come fioco
al mio concetto! e questo, a quel ch'i' vidi,
è tanto, che non basta a dicer 'poco'.                123
O luce etterna che sola in te sidi,
sola t'intendi, e da te intelletta
e intendente te ami e arridi!                126
Quella circulazion che sì concetta
pareva in te come lume reflesso,
da li occhi miei alquanto circunspetta,                129
dentro da sé, del suo colore stesso,
mi parve pinta de la nostra effige:
per che 'l mio viso in lei tutto era messo.                132
Qual è 'l geomètra che tutto s'affige
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond'elli indige,                135
tal era io a quella vista nova:
veder voleva come si convenne
l'imago al cerchio e come vi s'indova;                138
ma non eran da ciò le proprie penne:
se non che la mia mente fu percossa
da un fulgore in che sua voglia venne.                141
A l'alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e 'l velle,
sì come rota ch'igualmente è mossa,                144
l'amor che move il sole e l'altre stelle.

giovedì 25 aprile 2019

la poesia di Yeats scritta dopo la I guerra mondiale

Alla fine della I guerra mondiale Yeats scriveva questa poesia


William Butler Yeats

The Second Coming
    Turning and turning in the widening gyre
    The falcon cannot hear the falconer;
    Things fall apart; the centre cannot hold;
    Mere anarchy is loosed upon the world,
    The blood-dimmed tide is loosed, and everywhere
    The ceremony of innocence is drowned;
    The best lack all conviction, while the worst
    Are full of passionate intensity.
    Surely some revelation is at hand;
    Surely the Second Coming is at hand.
    The Second Coming! Hardly are those words out
    When a vast image out of Spiritus Mundi
    Troubles my sight: a waste of desert sand;
    A shape with lion body and the head of a man,
    A gaze blank and pitiless as the sun,
    Is moving its slow thighs, while all about it
    Wind shadows of the indignant desert birds.
    The darkness drops again but now I know
    That twenty centuries of stony sleep
    Were vexed to nightmare by a rocking cradle,
    And what rough beast, its hour come round at last,
    Slouches towards Bethlehem to be born?
La seconda venuta
Turbinando nel cerchio che si allarga
Il falcone non può sentire il falconiere
Le cose cadono a pezzi, il centro non può tenere.
Pura anarchia dilaga nel mondo
La marea insanguinata s'innalza e dovunque
La cerimonia dell'innocenza è annegata.
I migliori mancano di ogni convinzione mentre i peggiori
Sono pieni di intensità appassionata.
Certo è imminente una rivelazione
Certo è imminente la seconda venuta
La seconda venuta! Difficile pronunciare queste parole
Un ampio squarcio fuor dallo Spiritus Mundi
Tormenta la mia visione;
Da qualche parte nelle sabbie del deserto
Una forma con il corpo di leone e la testa di uomo
Bianco lo sguardo e senza pietà come il sole
Muove le sue cosce lente. Tutto intorno
Spirali fosche di uccelli del deserto.
La tenebra discende: adesso intendo
Che venti secoli di granitico sonno
Erano condannati all'incubo da una culla ondeggiante
E quale bestia orrenda, ora che alfine è venuta la sua ora
Striscia verso Betlemme per venire al mondo?
 - da https://www.poesieracconti.it/poesie/a/william-butler-yeats/la-seconda-venuta -

#Yeats #Secondavenuta #Cristo #Lasecondavenuta #thesecondkoming# #Apocalisse #Guerra #Rivelazione #dioignoto

mercoledì 24 aprile 2019

William Butler Yeats 2 poesie dedicate a Bisanzio






Sailing to Byzantium

I

That is no country for old men. The young
In one another's arms, birds in the trees,
—Those dying generations—at their song,
The salmon-falls, the mackerel-crowded seas,
Fish, flesh, or fowl, commend all summer long
Whatever is begotten, born, and dies.
Caught in that sensual music all neglect
Monuments of unageing intellect.


II

An aged man is but a paltry thing,
A tattered coat upon a stick, unless
Soul clap its hands and sing, and louder sing
For every tatter in its mortal dress,
Nor is there singing school but studying
Monuments of its own magnificence;
And therefore I have sailed the seas and come
To the holy city of Byzantium.


III

O sages standing in God's holy fire
As in the gold mosaic of a wall,
Come from the holy fire, perne in a gyre,
And be the singing-masters of my soul.
Consume my heart away; sick with desire
And fastened to a dying animal
It knows not what it is; and gather me
Into the artifice of eternity.


IV

Once out of nature I shall never take
My bodily form from any natural thing,
But such a form as Grecian goldsmiths make
Of hammered gold and gold enamelling
To keep a drowsy Emperor awake;
Or set upon a golden bough to sing
To lords and ladies of Byzantium
Of what is past, or passing, or to come.

W. B. Yeats, “Sailing to Byzantium” from The Poems of W. B. Yeats: A New Edition, edited by Richard J. Finneran. Copyright 1933 by Macmillan Publishing Company, renewed © 1961 by Georgie Yeats. Reprinted with the permission of A. P. Watt, Ltd. on behalf of Michael Yeats.
Source: The Collected Poems of W. B. Yeats (1989) - da  https://www.poetryfoundation.org/poems/43291/sailing-to-byzantium



VERSO BISANZIO

I.


Quello non è un paese per vecchi. I giovani

L’uno nelle braccia dell’altro, gli uccelli sugli alberi
– Quelle  generazioni mortali – intenti al loro canto,
Le cascate ricche di salmoni, i mari gremiti di sgombri,
Pesce, carne, o volatile, per tutta l'estate non fanno che esaltare
Tutto ciò che è generato, che nasce, e che muore.
Presi da quella musica sensuale tutti trascurano
I monumenti dell’intelletto che non invecchia.

II.


Un uomo anziano non è che una cosa miserabile,

Una giacca stracciata su un bastone, a meno che
L’anima non batta le mani e canti, e canti più forte
Per ogni strappo nel suo abito mortale,
Né v’è altra scuola di canto se non lo studio
Dei monumenti della sua magnificenza;
E per questo io ho veleggiato sui mari e sono giunto
Alla sacra città di Bisanzio.

III.


O saggi che state nel fuoco sacro di Dio

Come nel mosaico dorato d’una parete,
Scendete dal sacro fuoco, discendete in una spirale,
E siate i maestri di canto della mia anima.
Consumate del tutto il mio cuore; malato di desiderio
E legato a un animale mortale,
Non sa quello che è; e accoglietemi
Nell’artificio dell'eternità.

IV.


Una volta fuori dalla natura non assumerò mai più

La mia forma corporea da una qualsiasi cosa naturale
Ma una forma quale creano gli orefici greci
Di oro battuto e di sfoglia d’oro
Per tener desto un Imperatore sonnolento;
Oppure posato su un ramo dorato a cantare
Ai signori e alle dame di Bisanzio
Di ciò che è passato, o che è, o che sarà.

Traduzione di Giorgio Melchiorri


da Quaranta poesie, Einaudi, 1965

Bisanzio - William Butler Yeats

Le nitide immagini del giorno svaniscono;
la soldatesca ubriaca dell’Imperatore va a dormire;
la risonanza della notte recede, il canto dei nottambuli
risuona dietro la grande cattedrale;
Una cupola accesa da luce di stelle o di luna disdegna
tutto ciò che è uomo,
tutte le mere complessità,
la furia e il fango delle vene umane


Davanti a me fluttua un’immagine, uomo o ombra,
ombra più che uomo, più immagine che ombra;
perché la vorticante spola di Ade che avvolge bende di mummia
può sdipanare il cammino dipanato;
una bocca senza umidità né respiro
può adunare bocche irrespirate;
saluto il sovrumano;
lo chiamo morte in vita e vita in morte.


Miracolo, uccello o aureo manufatto,
miracolo più che uccello o manufatto,
aggrappatopiantato alla luce delle stelle sul suo ramo d'oro,
può come i galli di Ade cantare,
o, dalla luna inasprito, schernire forte
in gloria di metallo immutabile,
l'uccello comune o il petalo
ed ogni complessità di fango e sangue.


A mezzanotte sul segreto impiantito dell’imperatore
fiamme che nessuna fascina alimenta, né alcun acciarino ha acceso,
né alcun temporale molesta, fiamme generate da fiamma,
dove gli spiriti generati dal sangue vengono
e allentano ogni complessità della furia,
morendo in una danza,
un’agonia di estasi,
un’agonia di fiamma che non può bruciare un manicotto.


A cavalcioni del fango e del sangue del delfino,
spirito dopo spirito! Gli artigiani fendono l’onda,
gli orefici dell’Imperatore!
I marmi dell’impiantito della danza
rompono le amare furie della complessità,
quella immagini che ancora
fresche immagini generano,
quel mare solcato dal delfino, percosso dal gong.


V. il saggio di Silvia Ronchey:


#WilliamYeats #Bisanzio #poesie #silviaronchey #Buttler #onagoldenbough

Dal Corriere della Sera prendo questa intervista a Massimo Cacciari di Claudia Morvillo


Spero che il Corriere non se la prenda per questa mia incursione, si tratta di uno sguardo su una generazione su un uomo, una opportunità di mostrare come vita e filosofia possano essere coniugate.

Massimo Cacciari: «Dopo aver letto Nietzsche ho deciso di non sposarmi. E della morte non me ne frega nulla»

Il filosofo: «Crozza mi faceva grasso, ma non sono così. Il brutto carattere non è una fama, ce l'ho veramente perché sono impaziente con chi non capisce. I capelli li taglio da solo, non ho tempo da perdere con il barbiere»

Massimo Cacciari: «Dopo aver letto Nietzsche ho deciso di non sposarmi. E della morte non me ne frega nulla»
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Massimo Cacciari, a 74 anni, che rapporto ha con la vecchiaia? «Tremendo. Detesto chi ne parla come di un sereno tramonto. Tremo all’idea che mi parta il cervello».
Pensa mai alla morte?
«Non me ne frega nulla. Ci penso continuamente, ma nei termini in cui ci pensava Spinoza, ma anche Platone, tante volte citati senza capirci nulla. Sapendo di dover finire, nessuna finitezza mi condiziona. Non aspiro a morire, ma mi esercito a morire vivendo bene».
E cos’è «vivere bene»? «Aver dipeso il meno possibile da condizionamenti esterni, passioni irragionevoli, dagli altri e dai favori altrui. Aver difeso la mia legge interiore, non aver fatto male a nessuno».

Massimo Cacciari, professore emerito della Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, che ha fondato con don Luigi Verzè nel 2002, socio dei Lincei, è autore di una sessantina di libri, molti tradotti in più lingue. Ha indagato sulla crisi del pensiero dialettico, ha scritto di borghesia e classe operaia, del Re Lear, di Occidente e utopie, di Dio, Europa e molto altro. L’ultimo libro, «La mente inquieta» (Einaudi) è un saggio sull’Umanesimo. È stato deputato del Pci, eurodeputato, sindaco della sua Venezia tre volte. Dal 2010, ha lasciato la politica attiva, non i talk, dove è garanzia d’invettive furiose. Di recente, ha dato del «pezzo di m... a chi non s’indigna sui migranti» e ha urlato al ministro Alfonso Bonafede «la vostra politica dell’integrazione fa schifo». Seduto nel suo ufficio all’università, abbastanza accigliato, ammette: «Il brutto carattere non è una fama, ce l’ho».
E perché ha un brutto carattere?
«Sono impaziente. Lo sono con chi non capisce e perché il tempo non mi basta mai».
Si narra che, da sindaco di Venezia, desse del cretino ai suoi.
«Mai e poi mai ai miei. Con altri mi è capitato spesso di essere villano e ho chiesto scusa».
È figlio di un pediatra e di una casalinga, che educazione ha ricevuto? «Nessuna. Grandissimo merito dei miei genitori. Mi hanno insegnato a camminare, a nuotare, a parlare, a non rubare... le cose elementari, presupposto di ogni vita civile. E poi basta, mi hanno lasciato fare, fiducia assoluta, e mi hanno dato tutti i libri che mi servivano».
Come arriva la passione per la filosofia?
«A 15 anni, quando leggo “Fenomenologia dello spirito” di Hegel. La filosofia è il linguaggio dell’Occidente, costituisce la forma del suo sapere e del suo agire, fornisce i concetti fondamentali per intenderne l’inquietudine, le tragedie e la stessa follia».
Crede ancora, come ha detto in passato, che il massimo delle potenzialità cerebrali si tocchi a 26 anni?
«Se a quell’età hai davvero viaggiato, hai fatto tutto o quasi. Parlo non dei viaggi da turista, ma della mente. Li fai e poi, nel resto della vita, li organizzi, li approfondisci, ma le idee fondamentali nascono da giovani. Perciò è peccaminoso come sia stata ridotta la scuola».
Lei aveva 24 anni nel ’68. Ha fatto occupazioni con gli operai, ha fondato riviste, come «Contropiano», «Laboratorio Politico»...
«Ho iniziato a fare politica a 15 anni, mi sono formato, anche intellettualmente, con Asor Rosa, Mario Tronti, Toni Negri, poi ho fatto il dirigente del Pci... Oggi non ci sono movimenti paragonabili. L’era digitale individualizza tutto nell’apparenza della agorà universale; noi ci mettevamo insieme, facevamo società».
Lei che cosa sognava?
«Io non ho mai sognato. Quando sogni, sogni. Poi, ti svegli e pensi a cosa puoi effettivamente fare. In quel ‘68, mi sembrava possibile un’azione all’interno del sindacato e del Pci per porre le basi di una riforma di sistema. Alcuni di noi, invece, presero strade diverse: credevano si aprisse un processo rivoluzionario... Sono cose quasi impossibili da capire oggi. Comunque, la divisione fra lotta rivoluzionaria e riformismo, il delitto Moro, la fine del compromesso storico spiegano il trentennio successivo, il logoramento del ceto politico».
Fu mai tentato da derive rivoluzionarie?
«Mai. Né io né Mario né Asor. Ma ci trovammo stretti fra i partiti della sinistra incapaci di capire il salto d’epoca e, dall’altra parte, l’irrazionalità, i sogni appunto».
«Élite e popolo» è una contrapposizione utile a interpretare i tempi che viviamo?
«È un’idiozia: il popolo in sé non esiste; esistono interessi specifici, corpi intermedi, autonomie. L’ideologia del rapporto diretto fra il capo e la massa è la via maestra a soluzioni autoritarie. La democrazia vive di mediazione. È politeistica nella sua essenza. Il leader deve essere a guida di un gruppo dirigente di persone competenti, con base sociale e voti loro».
Le manca la politica attiva?
«Inascoltato, ho cercato di dare una mano alla formazione di un Pd mai nato. Dopo, non ho mai pensato di ricandidarmi: o sei interno a una struttura coerente con ciò che pensi, o non puoi fare da solo. Da solo, puoi scrivere un libro, non fare politica».
Quanto è solitaria la vita dello studioso?
«Io, quando studio, sono con i miei autori e maestri, parlo con loro. Quando posso ritirarmi una settimana a Venezia nel mio studio fra trentamila libri è qualcosa di molto bello».
Cos’è il «logos incarnato» che don Verzé diceva d’averla chiamata a insegnare?
«È il pensiero che s’incarna. Il pensiero è azione, è la prima e fondamentale delle forme del nostro fare. Nulla è producibile che non sia pensato. Se nella civiltà europea si è sviluppato un pensiero scientifico di un certo tipo, è anche perché, nella sua tradizione, rimane fondamentale quel prologo del vangelo di Giovanni in cui è detto che il Logos si fa carne. Lì è una rivelazione religiosa, ma lo stesso principio vale anche per la filosofia dell’Occidente».
Quando il Censis rileva un diffuso sentimento di cattiveria, il filosofo che pensa?
«Non si stupisce. Legga Spinoza. La nostra natura è “captiva” in senso letterale, prigioniera di passioni tanto più praticate quanto più deprecate: invidia, gelosia, risentimento, avarizia... La filosofia è l’esercizio di governarle».
Quali di queste passioni hanno afflitto lei?
«Nessuna, il padreterno me ne ha donato la totale assenza».
Per cosa vorrebbe essere ricordato?
«“Krisis”, del ’76, ha forse avuto una certa influenza. Ma tengo molto più a “Dell’Inizio”, che è del ’90, sviluppata in opere successive. Ritengo abbastanza importanti le cose scritte negli anni ‘90 sull’Europa, quando era ancora un principio-speranza».
E oggi cos’è l’Europa?
«Una speranza senza speranza. Ma insegna San Paolo bisogna sperare e, insegna Leopardi, dis-perare è impossibile: persino il suicida spera, magari di far disperare chi resta».
Ha avuto solo due fidanzate note, ma ha fama di piacere molto. Come mai?
«Io questo non l’ho mai constatato».
Perché non si è mai sposato?
«Bisogna aver letto Nietzsche per capire cosa significa dire di sì, quando chiede: hai scavato il fondo della tua anima? Sei pronto a dire “per sempre”? Vale anche per essere padre; infatti, non ho avuto figli».
Ha mai avuto il dubbio di sposarsi o no?
«Tutte le volte che ho amato».
E quante volte ha amato?
«È impossibile a dirsi... Dire amore è come dire popolo: ogni volta, è una cosa diversa».
Al pettegolezzo che la voleva amante di Veronica Lario in Berlusconi, rispose di non conoscerla. Lei è poi capitato d’incontrarla?
«Mai. Né prima né dopo».
Le piaceva Crozza quando la imitava?
«Era grosso e grasso. Non mi assomigliava».
È vero che si taglia barba e capelli da solo?
«Certo, e temo si veda. Non ho tempo da perdere col barbiere».
Si dice che sia superstizioso, in cosa?
«Lo sono un po’ per ridere, un po’ no. Su alcune teorie e pratiche che cataloghiamo come superstizioni, bisogna essere però molto seri. Si tratta di straordinarie tradizioni. Prenda l’astrologia: fino al ‘500 o ‘600 non c’era un potente che non si facesse fare l’oroscopo».
Si ritrova nel segno dei Gemelli?
«Totalmente: è una disperazione. Una concordia oppositorum continua».
Un’altra superstizione?
«I tarocchi. Uno che, come me, studia Umanesimo e Rinascimento, come fa a non conoscerli? Mi sono anche divertito a farli, me la cavavo, ma ripeto: li ho studiati per i miei libri».
L’ultimo, «La mente inquieta», è appunto, un saggio sull’Umanesimo. «È un’epoca di cui tutti conoscono i capolavori dell’arte, ma che ha pensatori grandissimi, come Pico della Mirandola, e che, a volte, sono massimi artisti, come Leon Battista Alberti. Autori che affrontano una grande crisi religiosa e politica. Anche filosofi successivi, come Giordano Bruno o Giambattista Vico hanno stretti rapporti con questo periodo. Bertrando Spaventa e Giovanni Gentile sono stati i primi a rivendicare questa tradizione».
Citando Nietzsche, ha detto: io sono un uomo postumo. In cosa spera che le verrà dato ragione da postumo?
«Scherza? Questa citazione non me la sono mai attribuita. Si figuri se sono così snob».
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martedì 23 aprile 2019

sabato 20 aprile 2019

6 e 7 maggio Convegno Symbolum a Stettino



Anche quest'anno parteciperò al convegno Symbolum, che si svolgerà a Stettino dal 6 al 7 maggio. Presenterò una relazione articolata in parola e immagine. Sto pensando di farne in seguito un libro
 
TERRA – MATER - MATERIA
SYMBOLUM
FILOSOFIA- PSICO-ANTROPOLOGIA SIMBOLICA-ARTE-LETTERATURA- RELIGIONE-EPISTEMOLOGIA
Cari Colleghi e Colleghe,
nella storia della cultura, del pensiero e delle religioni, gli studi sul Simbolo hanno ricevuto grande attenzione, poiché esso ricopre l'immenso campo dell'immaginario umano. Le ricerche di Bachelard, di Jung, di Durand, di Eliade, di Ricoeur, di Florenskij, di Ries ci hanno aiutato a comprendere meglio le importanti funzioni del simbolo, carta d'identità dell'uomo.
SYMBOLUM”, costituisce un ciclo di incontri annuali la cui ambizione scientifico-culturale è quella di ritrovare l’uomo integrale e la sua caratteristica fondante, di essere cioè Homo symbolicus, simbolo tra simboli, figura mediatrice nell’universo, capace di creatività, cioè di libertà spirituale.
Il tema scelto per SYMBOLUM 2019 è quello della ‘TERRA’.
La Terra è l’elemento di tutta la natura, nei suoi tre regni minerale, vegetale e animale, considerata da molte tradizioni il più sacro e divino tra gli Elementi, in quanto simboleggia la Materia primordiale. Fra i quattro elementi, la Terra è stata riconosciuta per prima come una realtà non semplice e unitaria e molteplici sono gli aspetti in cui si presenta: sabbia dispersa e fango umido, pietra e metallo. Molteplici le forme in cui si racchiude: caverna, grotta, montagna, foresta, albero, passaggi per l’oltremondo (luce/tenebre), per l’iniziazione (Vita/Morte), per la conoscenza (fecondità/trasformazione), per la contemplazione (immobilità/eternità/tempo).
La Terra è al tempo stesso materna e nutriente, ed anche pratica, concreta, solida e potente. Fertile, creativa e rigogliosa, la Terra racchiude in sé le caratteristiche del grembo materno che accoglie la vita e la nutre, e in senso pratico ha le qualità della costanza, della pazienza e della forza. Secondo le culture di stampo matriarcale, essa è il principio femminile per eccellenza, la Grande Madre aperta all’intervento fecondo del Cielo.
Essa è anche Materia contrapposta allo Spirito (realtà fisica/realtà psichica), indispensabile all’equilibrio dell’Universo stesso e potente catalizzatore d’immaginazione.
A guidarci in tale percorso è un approccio trans-disciplinare, che consente di cogliere e affrontare le sfide che la contemporaneità ci presenta: l’universo dello scibile umano non è infatti, una prigione a compartimenti stagni, incomunicabili ed estranei, ma un labirinto misterioso, nel quale si può passare da un estremo (visibile) all’altro (invisibile), trapassando in maniera impercettibile, perché esiste, fin dall’origine, una relazione osmotica, una compartecipazione, che permette alle diverse realtà di collaborare, di nutrirsi vicendevolmente, di procedere in direzione di un universum.
Conferenza internazionale




lunedì 1 aprile 2019

Infanzia, serie su cartone



                                       

Fernanda Mancini, inchiostro, acquerello, collage, su cartone, cm 40x40, 2008


   Fernanda Mancini, inchiostro, acquerello, collage, su cartone, cm 40x40, 2008