Sailing to Byzantium
I.
Quello non è un paese per vecchi. I giovani
L’uno nelle braccia dell’altro, gli uccelli sugli alberi
– Quelle generazioni mortali – intenti al loro canto,
Le cascate ricche di salmoni, i mari gremiti di sgombri,
Pesce, carne, o volatile, per tutta l'estate non fanno che esaltare
Tutto ciò che è generato, che nasce, e che muore.
Presi da quella musica sensuale tutti trascurano
I monumenti dell’intelletto che non invecchia.
II.
Un uomo anziano non è che una cosa miserabile,
Una giacca stracciata su un bastone, a meno che
L’anima non batta le mani e canti, e canti più forte
Per ogni strappo nel suo abito mortale,
Né v’è altra scuola di canto se non lo studio
Dei monumenti della sua magnificenza;
E per questo io ho veleggiato sui mari e sono giunto
Alla sacra città di Bisanzio.
III.
O saggi che state nel fuoco sacro di Dio
Come nel mosaico dorato d’una parete,
Scendete dal sacro fuoco, discendete in una spirale,
E siate i maestri di canto della mia anima.
Consumate del tutto il mio cuore; malato di desiderio
E legato a un animale mortale,
Non sa quello che è; e accoglietemi
Nell’artificio dell'eternità.
IV.
Una volta fuori dalla natura non assumerò mai più
La mia forma corporea da una qualsiasi cosa naturale
Ma una forma quale creano gli orefici greci
Di oro battuto e di sfoglia d’oro
Per tener desto un Imperatore sonnolento;
Oppure posato su un ramo dorato a cantare
Ai signori e alle dame di Bisanzio
Di ciò che è passato, o che è, o che sarà.
Traduzione di Giorgio Melchiorri
da Quaranta poesie, Einaudi, 1965
Bisanzio - William Butler Yeats
Le nitide immagini del giorno svaniscono;
la soldatesca ubriaca dell’Imperatore va a dormire;
la risonanza della notte recede, il canto dei nottambuli
risuona dietro la grande cattedrale;
Una cupola accesa da luce di stelle o di luna disdegna
tutto ciò che è uomo,
tutte le mere complessità,
la furia e il fango delle vene umane
Davanti a me fluttua un’immagine, uomo o ombra,
ombra più che uomo, più immagine che ombra;
perché la vorticante spola di Ade che avvolge bende di mummia
può sdipanare il cammino dipanato;
una bocca senza umidità né respiro
può adunare bocche irrespirate;
saluto il sovrumano;
lo chiamo morte in vita e vita in morte.
Miracolo, uccello o aureo manufatto,
miracolo più che uccello o manufatto,
aggrappatopiantato alla luce delle stelle sul suo ramo d'oro,
può come i galli di Ade cantare,
o, dalla luna inasprito, schernire forte
in gloria di metallo immutabile,
l'uccello comune o il petalo
ed ogni complessità di fango e sangue.
A mezzanotte sul segreto impiantito dell’imperatore
fiamme che nessuna fascina alimenta, né alcun acciarino ha acceso,
né alcun temporale molesta, fiamme generate da fiamma,
dove gli spiriti generati dal sangue vengono
e allentano ogni complessità della furia,
morendo in una danza,
un’agonia di estasi,
un’agonia di fiamma che non può bruciare un manicotto.
A cavalcioni del fango e del sangue del delfino,
spirito dopo spirito! Gli artigiani fendono l’onda,
gli orefici dell’Imperatore!
I marmi dell’impiantito della danza
rompono le amare furie della complessità,
quella immagini che ancora
fresche immagini generano,
quel mare solcato dal delfino, percosso dal gong.
V. il saggio di Silvia Ronchey:
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