Roberto Giardina parla con Maurizio Cabona
del suo ultimo libro, “Attraverso la Francia senza dimenticare il Belgio”
Corrispondente da Amburgo e poi da Bonn per La
Stampa e ora Berlino per QN e Italia Oggi, Roberto Giardina è
stato, prima, corrispondente da Parigi per Il Giorno. Ha osservato
quindi le vere capitali del Mec, che all’Italia diede tanto, e quelle della
succedanea Ue, che all’Italia sta prendendo tanto…
Sull’Italia di ieri, Giardina ha pubblicato pochi
mesi fa il romanzo autobiografico Pfiff (Imprimatur ed.), raccontando i
giornalisti dimezzati nella Torino dei primi anni ’60. Ora amplia la
prospettiva con Attraverso la Francia senza dimenticare il Belgio (Bompiani,
pp. 418, euro 28), che presenterà a Bologna giovedì 8 giugno (Alliance
française, via de’ Marchi 4, ore 18); a Genova venerdì 9 (ristorante Il Sogno,
via A. Vannucci 3, 7r., ore 18,30)) e giovedì 15 a Milano (libreria Verso,
corso di Porta Ticinese 40, ore 19).
Signor Giardina, in
copertina leggo: “Viaggiare al tavolo di lavoro, a casa, nei propri ricordi,
emozioni, relazioni, nel proprio immaginario…”.
“E´ una citazione francese, ben scelta
dall’editore. Certo, questa è una guida per chi non viaggia, ma si può leggerla
anche viaggiando. Ma non è una guida per turisti”.
E per chi è?
“Per i viaggiatori”.
Come distingue dal turismo il
viaggiare?
“L´arte di viaggiare è perdere tempo. La fretta
di vedere tutto ci impedisce di gustare un´atmosfera, che è fatta non solo
d’opere d´arte, di monumenti”.
Si spieghi meglio.
“A Parigi le ostriche sono fresche ovunque…”.
… Dunque?
“Ma da Wepler, in Place Clichy, andava Henry
Miller, l´autore di Tropico del Cancro”.
E allora lì le ostriche, oltre che
fresche, hanno il gusto del ricordo?
“Proprio così. Giustamente, per illustrare il
libro, sono state scelti gli acquerelli straordinari di Alessandra Scadella,
con un fascino evocativo che ferma l’attimo. Un fascino che una foto non
avrebbe”.
Continui.
“In un acquerello si possono mischiare atmosfere
diverse: una leggenda e un fatto di cronaca; Barbablù e la Nevers di Hiroshima,
mon amour, film di Alain Resnais”.
Torniamo al viaggio.
“Non solo un viaggio immaginario. Viaggiamo in
città reali, grazie anche ai consigli pratici di Paolo Mazzoni, ma scelti nello
spirito del mio viaggio: andiamo dove ci piace, non dove è di moda andare.”
Un viaggio nella storia?
“Un giorno, un americano mi fermò in Piazza del
Popolo a Roma. Mi chiese: ‘Quale bus per il Ben Hur Stadium”? Era sicuro che io
comprendessi il suo inglese e il suo desiderio. Spero di avergli consigliato il
numero giusto, per il viaggio, due chilometri, e duemila anni, dal traffico del
XXI secolo alle bighe”.
I turisti sono incuriositi dai film.
“No, non mi prendo gioco del turista texano, cui
devo la prima idea di questo libro”.
E la seconda?
“La storia è fatta di storie, anche quelle dei féuilleton
e delle pellicole di Hollywood, che poi sono la stessa cosa. Alcune restano e
diventano più vere della realtà perché le inventarono Balzac o Cecil B.
DeMille, Agatha Christie o Thomas Mann”.
Lei vuole suggerire anche un viaggio
letterario?
“Perché no? Quale sarà la nostra Normandia?
Quella del 6 giugno 1944 o Cabourg, la Balbec della Ricerca del tempo
perduto di Marcel Proust?”
Scelgo Proust.
“Chi ha fortuna ed è disposto a un sacrificio
economico, può passare una notte al Grand Ho^tel nella camera 414: quella di
Proust”.
Me la descriva.
“L´ho trovata come nel libro: la marea crescente
dell’Atlantico si rifletteva nei vetri della libreria. Un capriccio caro, ma
gustare un aperitivo al bar, come Marcel, costa pochi euro”.
Feticismo, voyeurismo?
“Conoscere i luoghi dove ha vissuto uno scrittore
o un pittore serve a capire un quadro, un romanzo. E attraverso un libro o un
film a stabilire un rapporto tra noi e ciò che ci circonda.
Ora si parla della Francia di Macron.
Il suo può essere anche un libro politico?
“Senza dubbio. Anzi è il fine del mio saggio
sull’Europa. Riscoprire i legami che, tra contraddizioni e malintesi, legano
noi europei”.
Non parli come Macron e Monti, la
prego.
“Tutti sanno che cosa vedere a Parigi. Perché non
cercare il ponte dove Jules e Jim e la loro Kate si inseguono felici nel film
di François Truffaut?”
Già, perché?
“Perché il film deriva dal romanzo autobiografico
di Henri-Pierre Roché, che racconta una storia vera, uno dei tanti intrecci che
formano l’Europa. Jules e Jim corrono verso il futuro sul Pont de l’Europe”.
Dal film di Truffaut lei passa a De
Gaulle, che a Colombey-les-deux-Eglises, ospita Adenauer.
“Sono stati due padri della nostra Unione,
superando un passato relativamente recente di guerre”.
Passiamo al Belgio.
“A Bruxelles, innanzi al palazzo Berlaymont, sede
e simbolo dell´Ue, si pensa agli eurocrati o a settant’anni senza una grande
guerra? Mai un periodo così lungo nella sua storia europea e ciò anche grazie a
Jules e Jim.”
Il Belgio è sottovalutato dagli
italiani.
“Ma non è un paese noioso, se viaggerete
attraverso la storia. Da Bruxelles, Waterloo si raggiunge in tram. Il 18 giugno
1815 Napoleone perse, forse perché pioveva a dirotto, e la storia cambiò”.
Altro del Belgio?
“Si visita Liegi in compagnia di Simenon, che vi
nacque e se ne fuggì a Parigi senza riuscire a dimenticarla. Il Belgio ha il
fascino delle canzoni di Jacques Brel. O di quelle di Salvatore Adamo, figlio
di un siciliano emigrato per lavorare in miniera. Elio De Rupo…
… Quello che nel 1994 non strinse la
mano a Tatarella perché fascista.
“Ma anche quello che, figlio di un emigrato
abruzzese, tra 2011 e 2014 è stato primo ministro del Belgio”.
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