Nella mostra di Calatrava al
Braccio Carlo Magno del Vaticano nel 2014, il processo di nascita delle opere dell'artista
viene spiegato con il ricorso all'antropologia. Si spiega come, lavorando a
partire dall'immagine di un corpo umano o di un dipinto, egli sviluppi un
percorso immaginativo e costruttivo che ha poi come esito la definizione finale
di una sua opera. Si tratta, si dice, di partire dal dato empirico e personale
delle sue capacità immaginative e delle sue conoscenze razionali e, seguendone
il percorso, di vedere momento dopo momento come i due fattori si intreccino
per giungere al concepimento completo di una chiesa o di un ponte. Calatrava
stesso dice di porre l'uomo al centro del suo lavoro.
Secondo me, si tratta di
capire e la spiegazione antropologica e l'asserzione dell'artista da una diversa
prospettiva, unificante e fondante insieme, nell'ordine della quale entrambe
trovino il proprio luogo. E che pure dia la possibilità di colmare lo iato tra
idea di partenza e realizzazione finale. Infatti, guardando la chiesa o il
ponte, dopo aver osservato l'idea dalla quale l'artista ha preso le mosse, si
rimane sconcertati, si avverte uno iato, una frattura è intercorsa, senza che
se ne sappia dare giustificazione, non si conosce quando, sotto i nostri occhi,
si sia prodotta, quando la catena processuale abbia avuto una torsione e
nascosto l'anello mancante. In altre parole, non si vede nel prodotto finale
l'idea d'origine. e a riprova, se si guarda la chiesa o il ponte, non si vede,
non si intuisce, non si conosce l'idea che l'avrebbe generata.
Conviene allora accantonare
l'inizio e concentrarsi su ciò che abbiamo davanti, la chiesa o il ponte,
quelle cose che Calatrava ci dona, che ha realizzato. Dimentichiamo la loro
origine antropologica, per valutarle piuttosto come cose che sono, che possiamo
vedere in quanto si manifestano ponendosi e sottoponendosi al nostro sguardo.
Queste cose, queste forme
chiedevano di venire ad esserci, di passare al grado d'esistenza concreta, e
Calatrava le ha liberate, o imprigionate per noi rapendole al nostro mondo,
così come Rilke, nelle Elegie Duinesi, consegnava la terra nelle mani
dell'angelo, cui era sfuggita perché la metafisica aveva eretto un muro cieco
tra cielo e terra, ed in esso la spiritualità si era smarrita. Calatrava per
catturarle ha usato la propria immaginazione, nutrita di calcolo matematico e
fisico, di storia personale, delle sue angustie e gioie di vita. Solo lui
poteva farlo, ed ha avuto la forza di farlo.
Il fare che permette la cattura,
questo fare che è donare cose e forme, è un fare di altra natura che quello
della volontà di volere un ponte, della cultura di sapere come si costruisce, è
un fare che è ascoltare. Ascoltare lo spazio, e il movimento dello spazio, il
trapassare del ritmo in ottica, in visione e geometria.
Tutto ciò ben si vede nella
scultura mobile "Morphing yellow" del 2009. Lamelle di alluminio che
lentamente si muovono ad una ad una. E' tutto lo spazio a muoversi trascinato
ogni volta dal movimento di una singola lamella, tutto lo spazio attorno a lei
cambia, si adegua seguendola, e così trascina con sé gli spazi più lontani, che
attendevano, quasi, per trovare collocazione, per trovare quella posizione di
luogo che è al contempo definizione, nome. Attendevano per avere il proprio
nome, per sapere che cosa sono, per avere la forma che dà vita, e lo può perché
fa essere.
Mai dalla cattedrale di New
York si indovinerebbe la madonna in trono con bambino del tardo medioevo
italiano, né viceversa, o dal volo di un uccello dalle mani di un bambino il prender
corpo di un ponte, e tanto meno viceversa dal ponte all'uccello al bambino. E il
pittore della madonna a sua volta non i
era posto in posizione di ascolto della forma-concetto che chiedeva di venire
ad essere, ascoltava, come si sintetizza nel dire "ascoltare con il
cuore"? Ascoltava pronto con le sue mani ed il suo sapere e la sua
immaginazione, non era lì a fantasticare cosa potesse fare di fantastico, e che
doveva essere così e così, cioè non seguiva la volontà, il sapere come volontà
che impone. Calatrava sembra riprendere in mano il lavoro del pittore, dar
seguito, forme e corpo a quell ' ascolto (si aprono possibilità nuove di
raccordo tra epoche, a far perno sull'arte, che qui però non seguiremo).
Non c'è passaggio da una cosa concreta ad una
idea, e neppure da un'intuizione ( di che? d'altro, l'intuizione è sempre di
qualcosa che prima non c'era, a cui noi ci adeguiamo, un sentimento personale
che segue cose e regole e connessioni che noi non conosciamo, ma che poi
seguiamo - v. descartes davanti al fuoco) ad una cosa concreta, ma c'è l'idea
che si fa strada a poco a poco attraverso piccoli passaggi, che la
concretizzano per approssimazioni, in cui si fa visibile in forme imperfette,
finché infine, contenta di sé, si dispiega nella propria interezza, ma l'dea si
coglie ascoltando, seguendo le sue indicazioni, a partire da quella forma
indefinibile che chiamiamo intuizione. Al centro del lavoro di Calatrava c'è
l'uomo, un uomo in ascolto.