FERNANDA MANCINI Stettino 2018
SIMBOLO. IMMAGINI DI UN INCONTRO POSSIBILE
Gli archetipi sono forme
basilari, non manifestazioni
personificate
o immagini concretizzate. Possiedono un
alto grado di autonomia, che non scompare
quando
l’immagine
manifestata cambia.
C.G. Jung1
Si tramanda che il pittore Annibale Carracci, vissuto tra la se-
conda metà del 1500 e i primi del 1600, amava dire che noialtri di-
pintori abbiamo da parlare con le mani, ma a temperare e insieme
integrare, nonché complicare le sue parole, si può immaginare che
Michelangelo avrebbe potuto ribattere più o meno, ma noi si dipinge
col cervello e non con le mani. Chi frequenta la pratica artistica sa
per esperienza come sia difficile, anzi impossibile tradurre in imma-
gine quell’intuizione informe che arriva come un’aria ad un certo
punto del percorso, della concentrazione d’arte. Essa è appunto in-
forme e pretende da noi la forma, che è inesauribile per definizione.
Quando si riesce a dargliene una, essa è carica di significato, è nostra
sciamo, che non dominiamo, essa è immagine simbolica. Come
beffa e al dubbio, agli immaturi frutti della sapienza». Non cercherò
quindi di dare qui una interpretazione né di queste immagini né del
mio lavoro, ma parlerò del come esse siano venute ad essere.
La pratica mi ha portata da tempo a ricercare e a lavorare sui sim-
boli e ho potuto così constatare la loro universalità, giacché, come è
noto, culture ed epoche diverse si esprimono attraverso gli stessi sim-
boli. Essi ricorrono al di là delle differenze temporali e culturali, ri-
presentandosi sempre all’interno di aeree di significato tra loro omo-
genee. Ho potuto approfondire ciò con il lavoro per la mostra del
Le opere di Tripeditrip hanno avuto come punto di partenza una
poesia del poeta contemporaneo cinese Gu Cheng e la musica che
Peng Yin, compositore contemporaneo cinese, ha scritto per la stessa
poesia. Le simbologie degli artisti cinesi e le mie si sono rivelate per-
fettamente armoniche, si sono integrate aprendo nuovi orizzonti che
ranee.
La mia pratica consiste innanzi tutto nel creare le condizioni alle
quali le immagini affiorano da sé stesse. Anche la scelta del mezzo
materiale appartiene a questa fase ed avviene, per così dire, con un
mio intervento attivo limitato e non invasivo, spesso accade che l’im-
magine e il mezzo, che può essere una speciale carta, un nuovo colore
o un objet trouvé, sembrino legati da reciproca necessità, l’uno segue
l’altra e viceversa, in una implicazione reciproca. È solo in un se-
condo momento, quando guardo il lavoro con una certa distanza,
che nascono idee e interpretazioni, si aprono campi di letture e di
studio.
I due momenti, della pratica e dello studio, si integrano, perché
dopo lo studio mi pare di cogliere nuovi aspetti dei miei lavori e ad
essi seguono nuove immagini. Esse spesso si presentano con grande
pressione, tanto che diventa difficile per me tener loro dietro. Così
nascono le serie di lavori, contraddistinte da variazioni più o meno
consistenti di uno stesso tema o soggetto.
In questo ricercare con l’arte attraverso l’arte, si incontrano e rac-
cordano studi e letture che spesso riscopro sotto una nuova luce, che
prendono un senso nuovo e pretendono nuove affinità proprio dal
loro incontrarsi inaspettato nel medio che è la pratica d’arte. Mentre
guardo e considero i lavori, letture antiche e attuali si intrecciano,
ripenso alla raccolta dei saggi di Jung Symbolik des Geistes, e a quella
del filosofo Leo Lugarini sulla Fenomenologia dello Spirito di Hegel.
Vedo aprirsi interessanti nuove prospettive per futuri approfondi-
menti. Le due Fenomenologie, la junghiana e l’hegeliana, si riflet-
tono in un intreccio di tematiche, l’una sostenendo l’altra da territori
lontani che pur tuttavia si scoprono affini. Da questo incontro si
aprono possibilità insospettate, il rapporto alla contemporaneità e
allo Zeitgeist ne esce sotto una luce completamente diversa; sotto la
pelle del tempo affiora la struttura dell’eterno, nel personale il tipico,
i due piani sono uno la trasparenza dell’altro.
Jung scrive, «quando la mente esplora il simbolo, essa viene por-
tata a contatto con idee che stanno al di là delle capacità razionali»,
ho dato spazio a questo pensiero fondamentale, alle immagini che si
formano, e ancor prima a quel certo sentire con cui si annunciano,
quel vento di cui dicevo sopra. È uno stato, uno Zustand, come lo
chiamava Karoly Kerényi, anzi uno schöpferischer Zustand, uno stato
creativo che Kerényi attribuisce alla Festa, e dal quale per lui, ha ori-
gine il culto e la poesia, e non viceversa. Mi sono lasciata portare da
questo vento permanendo in quello Zustand, e ho “tradotto” questo
intuire-sentire con i miei strumenti. Si è concretizzato dapprima
l’immagine dell’Ottagono.
Gli Ottagoni sono un Temenos, delimitano lo spazio altro, imma-
ginale, sacro che, prima di essere uno spazio fisico, è fondamental-
mente quello di una relazione. Lo spazio sacro era stato il tema di
un mio precedente lavoro, per la mostra Lo Spazio Le Cose Il Fram-
mento. Sul Terreno del Sacro. Vi ero arrivata partendo dal frammento,
cioè dalla constatazione della divisione e separatezza che innerva le
cose e i rapporti nel nostro tempo. Una lacerazione epocale, che ha
a che fare con la morte di Dio (nominata nell’ordine da Goethe,
Hegel e poi Nietzsche) e l’attuale nostra storia, colta come epoca del
nichilismo. Ad un certo momento del lavoro concreto della pittura,
però, il rapporto mi parve capovolgersi, e quello esser smembrate
delle parti, nello spazio delle opere, mi apparve come la riconfigura-
zione della realtà in una nuova unità, in senso affine alla riflessione
di Kandinskij, secondo il quale la lacerazione è un elemento della
nostra modernità, da cogliere con nuove intelligenze e senza nostalgie
del passato. Si adombra una nuova armonia, infatti uno spazio dalle
qualità nuove si era rappresentato davanti ai miei occhi. Per me fu
un’acquisizione fondamentale, vedevo e comprendevo ora la presenza
di relazioni e modi d’essere diversi dagli usuali, uno spazio da cui si
affaccia l’invisibile, quell’invisibile tanto caro a Paul Klee, che ne
volle scrivere per il proprio epitaffio.
Tornando agli Ottagoni-Temenos, essi danno il titolo ad una serie
di opere in cui, al centro geometrico dello spazio ottagonale, rac-
chiusi in circonferenze, prendono posto diverse immagini: Temenos
egizio - con il geroglifico dell’acqua, Temenos - Vaso, con un ri-
mando alla ben nota simbologia del vaso.
Ho lasciato visibile la struttura geometrica che sostiene la costru-
zione degli ottagoni, per lasciare vivere in essi i molteplici significati
connessi alla loro costruzione e che, lungi dall’essere solo sostegni
tecnico-costruttivi, ne sostanziano e formano la ricchezza di conte-
nuti. Così in un quadro ad esempio si può vedere l’incrocio di ver-
ticale e orizzontale che si attraversano proprio nel centro
dell’ottagono, esse indicano i quattro punti cardinali. Tra queste
quattro dimensioni poi ci sono quelle intermedie, le une e le altre
insieme formano la rosa dei venti, che è anche la Rosa Mundi rosa-
crociana ad otto braccia.
L’Ottagono è simbolo universale, nella religione cristiana indica
il giorno della Resurrezione, dopo i sette della creazione, per questa
ragione i vecchi battisteri erano a pianta ottagonale. Nell’ottagono
è racchiuso anche lo Yin Yang del Tao. Inoltre, esso è la figura geo-
metrica considerata più vicina alla circonferenza, e la geometria è il
principio creatore di Pitagora, la matrice Matrix della materia e dello
spirito, ma anche la Sapienza secondo la gnosi. Rispettando tutte
queste diverse accezioni, ho interpretato la geometria e l’ottagono e
la Matrix non come un sapere chiuso in regole e categorie e ripeti-
tivo, ma fluido e vivo. Li ho immaginati non confinati nei limiti di
una geometria statica, ma di una geometria aperta alla relazione crea-
tiva e ludica.
Solo nel momento in cui ho riguardato con distanza i lavori, ho
considerato che il Temenos può essere anche rappresentativo della
mente archetipica, da cui prendono forma i simboli raccolti nel man-
dala centrale, ogni qualvolta incontrino un io posto in ascolto. Ho
visto allora che il rapporto tra gli Ottagoni e le immagini centrali è
quello stesso che si svolge tra centro e periferia, tra vuoto e pieno,
l’uno e i molti. Non disposto -questo rapporto- nella successione
temporale, appunto perché ci si muove in uno spazio ‘altro’, essa
porta a presenza la contemporaneità dell’essere come centro e del-
l’essere come periferia, dialettica dell’alterità, dove l’altro è l’altro di
sé stesso, dunque che è - nel senso che esiste ed è vero - solo attra-
versando e tenendo in sé la negatività. Una negazione raddoppiata.
Dunque, abbiamo una specie di pensiero che dialoga in sé con sé
stesso, è molto vicino alla situazione che Jung descrive quando, nel
Libro Rosso, parla con Elia-Salomè, o incontra Filemone e Bauci,
egli è insieme colui che riceve il “discorso” di Elia, ma anche colui
che quel discorso accoglie e su cui ragiona, un Sé più vasto dell’io.
Poi i confini del Temenos si aprono, siamo in una nuova fase del
lavoro, attraversiamo un nuovo aspetto di quanto sopra descritto, il
residuo di dualità che ancora si conservava tra il Temenos e il suo cen-
tro va scomparendo. Non c’è più differenza tra la periferia e il centro,
i simboli stanno in un rapporto di identità e alterità con la mente,
tutto lo spazio si riempie di questa identità molteplice dell’uno. Forse
si può considerare ciò anche in connessione con l’idea goethiana
dell’Urpflanz – la pianta originaria -, un principio spirituale che dà
forma e che è nelle singole cose e non fuori di esse, come accade per
le idee di Platone, che sono al di là, nell’Iperuranio, un’idea che «si
può vedere con gli occhi» disse una volta Goethe.
Chiamo questo momento Aperture. Così ad esempio Aperture -
Fuoco, in cui il fuoco del vulcano si irradia ovunque; Aperture -
Orfeo, una lira estende i suoi benefici suoni invasivamente in ogni
punto del pensiero e dello spazio.
Ora, da questo punto il processo si inverte, e si potrebbe riper-
correre il cammino da qui a ritroso. Tutta la prima parte è stata con-
dotta a partire dal separato in quanto la relazione è dominata dalla
dualità. E come alla fine si è visto convergere gli opposti, assimilatisi
reciprocamente nell’identità prendendo la forma dell’Uroboro, della
circonferenza-mandala, e meglio ancora della spirale goethiana che
torna al punto di partenza, ma con quello scarto di livello, che indica
appunto il cambiamento, ripercorrendo nel senso contrario il cam-
mino, si vede come l’unità mobile del mandala, pulsante in se stessa
e in ogni luogo contemporaneamente presente, come questa unità
si manifesti in ogni punto nel suo aspetto puntuale e separato, che
distingue il prima dal poi, e si capisce, ora, che questa diversa mo-
dalità di comprendere, che ho definito a ritroso, sia più ampia e com-
plessa di quanto lo sia la logica del giudicare.
Bisogna cercare un’altra logica allora.
Per me lavorare sul simbolo ha significato e significa ricercare
concretamente nuove possibilità di comprensione positiva, praticare
nuovi orizzonti concettuali, che permettano di connettere ragione e
intuizione, conoscenza e sentire, insomma le possibilità di una via
nuova che si allontani dal nichilismo e dalla negatività della nostra
epoca. Un’epoca durata duemila anni, che vede alla fine consumare
nel dubbio nichilistico sia lo spirito sia la materia. Duemila anni ad
iniziare dall’incarnazione del divino in Cristo, principio di unione
tra materia e spirito, ben rappresentato dal simbolo del pesce, con
cui fin dall’inizio i cristiani hanno identificato il Salvatore. Simbolo
uno e doppio, che ha percorso articolandola tutta la nostra era.
Esplorate in questi duemila anni, nella concretezza del reale, forse
tutte le possibili realtà implicite nella dualità della nostra era, di cui
il pesce è anche simbolo astrologico, l’epoca della incarnazione si è
forse tutta dispiegata.
Possiamo interpretare questo fatto come l’augurio che la negati-
vità della nostra epoca si stia anch’essa concludendo e che subentri
una nuova speranza e una nuova epoca cui dedicarsi, ascoltando e
attivamente lavorando?
RIASSUNTO
Nella stesura di questo contributo ho accostato e intrecciato im-
magine e parola, il paradigma che si attesta sullo sfondo e a cui mi
sono attenuta è che l'immagine, in particolare l'immagine simbolica,
sia immagine agente e dunque il più denso di significato ed emo-
zione; inoltre che la parola, quella poetica tanto quanto quella non
poetica, svolga, traduca questa densità, pur non riuscendo ad esau-
rirne la ricchezza.
La pratica artistica mi ha portata da tempo a ricercare e a lavorare
sui simboli e ho potuto così constatare la loro universalità. Come è
noto, culture ed epoche diverse si sono servite degli stessi simboli.
Essi ricorrono al di là delle differenze geografiche temporali e cultu-
rali, ripresentandosi sempre con significati omogenei.
Nei lavori qui presentati si riflettono pratiche e letture diverse,
in particolare la raccolta degli studi di Jung dal titolo Symbolik des
Geistes e quella di Leo Lugarini Prospettive hegeliane sulla Fenomeno-
logia dello Spirito di Hegel, che mi ha aperto interessanti e nuove
prospettive per futuri approfondimenti. Le due Fenomenologie, la
junghiana e l'hegeliana, si riflettono reciprocamente in un intreccio
di tematiche, l'una sostenendo l'altra da territori lontani e pur tut-
tavia affini. Da questo incontro si aprono possibilità insospettate, il
rapporto alla contemporaneità e allo Zeitgeist ne esce sotto una luce
completamente diversa; sotto la pelle del tempo affiora la struttura
dell'eterno, nel personale il tipico, i due piani sono uno la trasparenza
dell'altro.
La prima parte del testo svolge nel concreto il tema del rapporto
Uno/Molteplicità dal punto di vista della separatezza dei termini,
perché la relazione è dominata dalla dualità, la fase nera dell'alchimia.
Ripercorrendo poi nella seconda parte il cammino in senso inverso,
si fa vedere come l'unità mobile del mandala, che pulsa in se stessa
e contemporaneamente in ogni luogo, si manifesti in ogni punto
una e plurale, unita e separata in se stessa, si tratta nel linguaggio di
Jung della complexio oppositorum, in quello di Hegel dell'identità
della identità e della non identità e in quello alchemico del Vaso.
Questo secondo approccio si è dimostro più ampio e complesso del
precedente.
Per me lavorare sul simbolo ha significato ricercare concretamente
nuove possibilità di comprensione non nichilistica della realtà e pra-
ticare nuovi orizzonti concettuali, che permettano di connettere ra-
gione e intuizione, conoscenza e sentire.
ABSTRACT
Symbol. Images of a Possible Meeting
In the writing of this
contribution I have juxtaposed and inter-
twined image and word, the paradigm that stands in the background
and to which I have adhered
is that the image, especially the sym-
bolic image, is an agent
image and therefore the most dense of mean-
ing and emotion; also that the word, the poetic one as much as the
non-poetic one, unfolds,
translates this density, even if it does not
manage to exhaust its
richness.
Artistic practice has long led me to research and work on symbols
and I have been able to see
their universality. As is well known, differ-
ent cultures and eras have used the same symbols. They recur beyond
the geographical, temporal
and cultural differences, always pres-
enting themselves with homogeneous meanings.
In the works presented here different practices and readings are
reflected, in particular the
collection of Jung's studies entitled Sym-
bolik des Geistes and Leo
Lugarini's Hegelian Perspectives on Hegel's
Phenomenology of the Spirit, which opened up interesting and new
perspectives for future
insights. The two Phenomenologies, the Jun-
gian and the Hegelian, are mutually reflected in an interweaving of
themes, one supporting the other from distant yet similar territories.
From this encounter
unsuspected possibilities open up, the relation-
ship with contemporaneity and the Zeitgeist emerges in a completely
different light; under the skin of time emerges the structure of
eternal, in the personal the
typical, the two planes are one the trans-
parency of the other.
The first part of the text
deals with the theme of the relationship
One/Multiplicity from the point of view of the separateness of terms,
because the relationship is
dominated by duality, the black phase of
alchemy. Then, in the second part of the text, we can see how the
mobile unity of the mandala,
which pulsates in itself and simulta-
neously in every place,
manifests itself in every point as one and plu-
ral, united and separated in itself, this corresponds in Jung's language
to the "complexio oppositorum", in Hegel's language to the
"identity
of identity and non-identity" and in the alchemical language to the
"Vaso".
This second approach has proved to be broader and more com-
plex than the previous one.
For me, working on the symbol meant concretely searching for
new possibilities of
non-nihilistic understanding of reality and prac-
ticing new conceptual horizons, which allow to connect reason and
intuition, knowledge and
feeling.
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