mercoledì 15 agosto 2012
domenica 12 agosto 2012
Bauhaus magico - Fernanda Mancini
Articolo di Fernanda Mancini da Il nostro Tempo
18 Ottobre 2009 Berllino
| Una grande retrospettiva al Museo Martin Gropius celebra il Bauhaus a novant’anni dalla sua nascita .
Berlino festeggia i 90 anni del
Bauhaus con una grande mostra
al Martin Gropius-Bau. Oltre mille
pezzi esposti, alcuni assai rari,
altri per la prima volta accessibili
al grande pubblico, come la «Sedia
Africana» di Marcel Breuer e
Gunta Stölzl realizzata nel 1921
ma riapparsa soltanto nel 2004 e
il «Totenhaus der Frau», il sarcofago
di ispirazione egizia che
Schreier progettò per la moglie
nel 1920 e riapparso nel 2002.
Molte anche le nuove pubblicazioni
e, tra queste, di particolare
interesse, la raccolta curata
da Cristoph Wagner «Esoterismo
al Bauhaus. Una revisione
del Moderno?». Mentre dal catalogo,
pur tra le molte e nuove
informazioni, emerge una
lettura aderente al modello
convenzionale del movimento,
il libro, che raccoglie contributi
di studiosi da anni impegnati
in ricerche negli archivi e tra
le carte degli esponenti del
Bauhaus, apre orizzonti culturali
tanto nuovi da suggerire
una revisione della ricezione
tradizionale del gruppo ruotante
intorno a Walter Gropius,
fondatore e capo carismatico.
Il libro tralascia la storia già nota
della Scuola, i suoi confl itti interni
politici e fi losofi ci, per sottolineare
il ruolo avuto da Johannes
Itten nel progetto, da Kandinskij
e Klee, ma poi anche Muche, Schlemmer
e Schreier, e mostrare
come grazie al loro lavoro pratico
e teorico, le radici dell’arte astratta
affondino nella ripresa di temi
antichi, come ad esempio quello
di rendere visibile l’invisibile, della
geometria come ordine spirituale
delle cose, dell’astrologia
come fondamento del cosmo,
del Canone dell’Antico Egitto,
valido sia per la pittura che per la
scultura e le costruzioni.
Un’arte astratta per costruire,
con un linguaggio moderno,
un mondo nuovo che sia anche
in continuità col passato, un
tentativo culturale complessivo
per uscire dalla crisi messa a
fuoco da Nietzsche, alla cui infl
uenza sul Bauhaus è dedicato
un capitolo.
Il Bauhaus nacque nel clima del
dopoguerra, nel 1919. Nella Repubblica
di Weimar lo scontro
politico e l’instabilità sono altissimi.
Ovunque regna sconforto
e disillusione, che si sommano
alla profonda crisi di tutti i principi
sviluppati nella storia dell’Occidente,
una crisi elaborata
in quella fucina dei nuovi tempi
che è stato il XIX secolo. Vi sono
tuttavia anche forti spinte utopiche,
e il Bauhaus è appunto un
progetto fortemente utopico.
Questa “scuola non solo scuola”
nasce, infatti, dalla fusione dell’Accademia
d’Arte e della Scuola
di arti applicate di Weimar.
Il suo atto di fondazione fa già
vedere in trasparenza la sostanza
del programma: arti liberali e
applicate si fondono per dar forma
a una nuova fi gura di artista-artigiano,
un “uomo nuovo” per
una “umanità nuova”.
Quanto emerge con forza dal
libro di Wagner è la profondità
e radicalità del progetto culturale
complessivo di Gropius,
progetto che si concretizza a
Weimar, ma ha origine a Stoccarda,
Vienna Monaco, centri
culturali aperti alle reciproche
influenze europee. Al centro
c’è il Gesammtkunstwerk, l’opera
d’arte totale, alla quale pittori
scultori e architetti lavorano
insieme. Gropius ha come modello
di ispirazione il Gotico e la
sua idea di città, di cattedrale, le
arcate mistiche e i campanili alti
fino al cielo. Non a caso, il primo
manifesto della scuola di Lyonell
Feininger nel 1919 reca l’immagine
di una chiesa altissima nel
suo campanile, costruito di luce
celeste in un gioco di riflessi che
congiunge terra e cielo.
La «Sedia Africana» e il «Totenhaus
der Frau», la villa per
Adolf Sommerfeld, esposti
nella mostra, appartengono
anch’essi a questo periodo, e
salta agli occhi la loro profondissima
differenza con le creazioni
di soli pochi anni successive.
Come interpretare questo
cambiamento? Il reclutamento
degli insegnanti è condotto da
Gropius per affinità elettive:
tutti insieme devono formare
una Bruderschaft, una specie
di «congregazione», di stretta
fratellanza, modello già adottato
nel secolo XIX prima dai
pittori «Nazareni» e poi avanti
fino ai francesi «Nabis», gruppo
ruotante attorno a Gauguin.
Gli artisti-membri della congregazione
dovevano leggere
insieme libri di geometria,
astrologia e architettura, fondare
e partecipare a cerimonie
festive indossando abiti particolari.
Un gruppo coeso, per
insegnare e per creare un’arte
nuova: «Il vero architetto
è il pittore» sosteneva Itten,
e così per esempio l’idea delle
pareti a finestra che si vedono
ancora in quel gioiello
di architettura Bauhaus che
sono le case degli insegnanti
a Dessau, arriva direttamente
dal tema delle finestre
cui Paul Klee lavorava
in quel periodo e che con
tutta probabilità gli veniva da
Delaunay, cioè dalla Francia, e la
finestra, come Matisse insegna, è
un passaggio, una trasparenza,
una soglia che divide e anche
mette in contatto due dimensioni.
L’elemento architettonico
parete di vetro è nato dalla ricerca
pittorica di Klee e senza quella
idea non sarebbe stato.
Quando il 12 aprile del 1919
alla seduta del Senato di Weimar,
Gropius dà lettura del
primo collegio insegnanti, i
primi ad essere nominati sono
i pittori Feininger e Itten, che
Gropius aveva conosciuto per
tramite della moglie, Alma
Mahler, intellettuale con tendenze
esoteriche attiva in tutta
Europa. Anche se Gropius diceva
di non capire l’arte astratta
di Itten, gli riconosceva però
una identità di sentire culturale,
tanto da affidargli il delicato
compito della formazione
base degli studenti nel primo
biennio. Un capitolo del libro
è dedicato alla scultura modernissima
di Itten, la «Torre di
Fuoco», esposta alla mostra.
Nel 1923 Itten è costretto a dimettersi,
e nel 1925 il Bauhaus
trasloca a Dessau. Nel 1928
anche Gropius si dimette e la
guida passa agli architetti Hannes
Meyer e poi Van der Rohe
nel Trenta. Il processo è molto
complesso, perché nel frattempo
anche le idee iniziali si sono
sviluppate e lentamente si sono
approfonditi i legami con le industrie.
Ma ancora è un processo
interno e non un cambiamento
radicale. Questo probabilmente
accade con le dimissioni di Gropius:
l’industria, non più tenuta
all’interno di una progettualità
forte, fa valere le sue leggi, e la
tecnica impone pian piano le
sue regole e i suoi tempi. E’ allora
che il Bauhaus si trasforma in
una questione di Stile, funzionalità,
razionalità, effi cienza. Questo
stile farà epoca estendendosi
in tutto il mondo e agendo
culturalmente fi no ai nostri
giorni grazie alla sua diffusione
negli Usa, dove circa 30 di loro
emigrano dopo che nel 1933 la
scuola viene chiusa dai nazisti.
Ma questa è un’altra storia.
Molte domande rimangono
aperte, quelle sulle tappe e i
contenuti dello sviluppo del progetto
iniziale, è stato veramente
sconfi tto oppure c’è stata una
trasformazione, se è cosi quanto
è trapassato negli Usa della
iniziale proposta culturale del
Bauhaus? La storia è ancora da
scrivere, ciò dimostra quanto il
Bauhaus sia ancora vitale.
Oltre mille opere esposte,
tra oggetti di design e
dipinti, da Kandinskij a Klee,
tra lampade, poltrone e sedie.
giovedì 26 luglio 2012
F.M. "Il nichilistico "Don Giovanni" di Mozart a Stoccarda"
Il 25 luglio la tv tedesca ha trasmesso live da Stoccarda la prima del "don Giovanni" di Mozart. Era stata molto pubblicizzata come una nuova messa in scena dentro e fuori il teatro, perché, oltre ad essere trasmessa in tv, sono stati allestiti degli schermi all'aperto ed il pubblico ha risposto numeroso e festante, con banchetti di wurstel ecc.e un intrattenitore qui molto noto grazie ai suoi programmi tv, Harald Schmidt, tra il pubblico nell'intervallo a registrare festa e umori.
La regia di Andrea Moses, coadiuvato da scenografi e costumisti, é molto attualizzante, i cantanti per lo piú giovani e di tutti i colori : Don Giovanni giapponese, Zerlina nera (è corretto scrivere cosí?chissa?!), ecc.In breve Moses ha narrato la storia di un moderno erotomane (ma non bisessuale), che non se ne lascia sfuggire una, cinico e sprezzante, che si diverte a far del male un po' a tutti, per primo Leporello, suo servitore e, si sarebbe detto in altre interpretazioni, non questa, suo alter ego.
La storia, come vuole Mozart, finisce male, ma non come da lui previsto : niente inferno, nessuna sfida all'al di lá, alla metafisica, un suicidio con colpo di pistola alla testa, a conferma dell'indifferenza alla vita, innanzitutto la propria. Cosí come anche il sesso, perseguito senza uno scopo, senza vero piacere, ma invece coazione a ripetere, senza una sfida, non mosso alla ribellione da uno spirito oppresso. Nihilismo puro. Come Don Giovanni, cosí le sue amanti. Non c'é seduzione infatti quando la "vittima" non é tanto consenziente, quanto invece alla ricerca di avventura, purché sia. Sulla scena una umanitá divertente e stanca, senza desideri, aspettative, sogni, idee, neppure quella di "usare" il sesso per...e qui ciascuno metta quel che vuole.
La vita, una farsa che si trascina nella solitudine individuale e abissale di ciascuno e di tutti, costretti nella macchina teatrale perfetta costruita a suo tempo da Mozart secondo una evidente altra logica. In ció Moses attualizza, e risulta evidente proprio nei momenti di maggior stridore con la gabbia drammaturgica mozartiana, e il suo "Don Giovanni" é moderno, cosí per come la maggioranza degli intellettuali concepisce oggi il "moderno", in tutti i campi, e dunque anche in quello artistico. Una "fotografia" nichilistica della realtá, che é la facile interpretazione della vita e della societá, all'interno della quale ci si mette in fila per raggiungere
sovvenzioni e successo. La fotografia é invenzione, interpretazione e non documentazione, come sanno bene i fotografi.
La regia di Andrea Moses, coadiuvato da scenografi e costumisti, é molto attualizzante, i cantanti per lo piú giovani e di tutti i colori : Don Giovanni giapponese, Zerlina nera (è corretto scrivere cosí?chissa?!), ecc.In breve Moses ha narrato la storia di un moderno erotomane (ma non bisessuale), che non se ne lascia sfuggire una, cinico e sprezzante, che si diverte a far del male un po' a tutti, per primo Leporello, suo servitore e, si sarebbe detto in altre interpretazioni, non questa, suo alter ego.
La storia, come vuole Mozart, finisce male, ma non come da lui previsto : niente inferno, nessuna sfida all'al di lá, alla metafisica, un suicidio con colpo di pistola alla testa, a conferma dell'indifferenza alla vita, innanzitutto la propria. Cosí come anche il sesso, perseguito senza uno scopo, senza vero piacere, ma invece coazione a ripetere, senza una sfida, non mosso alla ribellione da uno spirito oppresso. Nihilismo puro. Come Don Giovanni, cosí le sue amanti. Non c'é seduzione infatti quando la "vittima" non é tanto consenziente, quanto invece alla ricerca di avventura, purché sia. Sulla scena una umanitá divertente e stanca, senza desideri, aspettative, sogni, idee, neppure quella di "usare" il sesso per...e qui ciascuno metta quel che vuole.
La vita, una farsa che si trascina nella solitudine individuale e abissale di ciascuno e di tutti, costretti nella macchina teatrale perfetta costruita a suo tempo da Mozart secondo una evidente altra logica. In ció Moses attualizza, e risulta evidente proprio nei momenti di maggior stridore con la gabbia drammaturgica mozartiana, e il suo "Don Giovanni" é moderno, cosí per come la maggioranza degli intellettuali concepisce oggi il "moderno", in tutti i campi, e dunque anche in quello artistico. Una "fotografia" nichilistica della realtá, che é la facile interpretazione della vita e della societá, all'interno della quale ci si mette in fila per raggiungere
sovvenzioni e successo. La fotografia é invenzione, interpretazione e non documentazione, come sanno bene i fotografi.
sabato 7 luglio 2012
F.M. "La cultura è un nuovo uovo fresco ogni mattina?"
In Germania si discute moltissimo in questi giorni sul futuro della Gemäldegalerie di Berlino, il museo che raccoglie capolavori dell'arte europea dal 14. al 18. sec (e il cui responsabile per la parte italiana è Roberto Contini). Le considerazioni di ordine economico di tutta la faccenda non sono secondarie: l'arte moderna e contemporanea "tira", fa registrare buoni incassi, dunque va promossa. Fin qui tutti d'accordo. Ma va promossa a spese dell'arte precedente, appunto quella della Gemäldegalerie, e qui iniziano i problemi, e le discussioni, gli appelli, la sommossa dei professori. Il museo deve sgombrare dal Kulturforum (lo spazio vicino alla Potsdamer Platz) e le sue sale riempirsi di "oggetti" contemporanei, la cui quantità straripante non è piú possibile contenere nella vicina Nationalgalerie di Mies van der Rohe. La Gemälde dovrebbe emigrare nelle sale del museo della scultura al Bode-Museum, in parte, la maggior parte invece finire negli scantinati, finché non sarà costruito un nuovo edificio atto a contenerla, nei pressi del Bode-Museum. Ma naturalmente ciò significa che almeno ad una generazione sarà negata la possibilità di entrare in contatto con le radici della nostra cultura. La domanda è: ce lo possiamo veramente permettere? Uno degli argomenti dei "nuovisti" è che così si avranno due poli, uno per l'arte moderna-contemporanea, uno per l'antica. Una vecchia utopia, che risorge di tanto in tanto soprattutto a Berlino, e che ha a che fare più con la coazione psicologica classificatorio-burocratica che con fatticità reali: infatti tutta la città è disseminata di musei contemporanei e antichi, riunirli (e qualcuno dopo la caduta del muro aveva proposto anche questo) è impossibile, dispendiosissimo, pazzesco. È ammirevole che si dispongano tanti soldi per la cultura (minimo 200 miolioni di euro), molto meno il progetto di politica culturale che questi soldi sorreggono e promuovono. Fare spazio all'arte contemporanea, certo, ma perché a scapito della cultura? Sarebbe come creare cattedre di inglese sopprimendo quelle di filologia, un non sense. Perché questa febbre di nuovismo brado, di uovo fresco ogni mattina? per pura avidità? per pura stoltizia? Le aste e la crisi, insieme a speculanti attivi e passivi, hanno creato il boom di massa di un'arte sempre più veloce e costosa, ma chi gestisce la cosa pubblica, anche per le generazioni future, non dovrebbe avere uno sguardo più lungimirante verso il futuro e verso quel passato che é stato futuro, invece di pensare che siamo nati oggi? non le "converrebbe" avere uno sguardo storico e basarsi su una teoria della conoscenza non appiattitita sulla riproduzione della banalità del quotidiano (teoria che i migliori tra i fotografi hanno da tempo abbandonato)? perché intendono "converebbe" in senso solo monetario?
lunedì 27 febbraio 2012
"Un giorno questo dolore ti sarà utile" film di Roberto Faeza
Un pensiero mi nasce immediato appena visto questo film. Le cose care vanno tenute care. Senza lasciarsi distrarre dalla fretta dell'andare oltre, fretta che per lo più nasconde la paura di essere di consistere. Le cose che contano, perchè le amiamo, vanno riconosciute in tutta la loro intera importanza, e l'intelligenza ci aiuta a tenercele accanto, trovando le forme e i modi, adatti e spesso tanto semplici quanto inusitati. Solo l'intenzione certa che esse contino fa sì che si riesca a salvarle dando loro il loro "giusto" posto .
Un pensiero mi nasce immediato appena visto questo film. Le cose care vanno tenute care. Senza lasciarsi distrarre dalla fretta dell'andare oltre, fretta che per lo più nasconde la paura di essere di consistere. Le cose che contano, perchè le amiamo, vanno riconosciute in tutta la loro intera importanza, e l'intelligenza ci aiuta a tenercele accanto, trovando le forme e i modi, adatti e spesso tanto semplici quanto inusitati. Solo l'intenzione certa che esse contino fa sì che si riesca a salvarle dando loro il loro "giusto" posto .
mercoledì 15 febbraio 2012
"vedere abissi là dove sono luoghi comuni"
domenica 5 febbraio 2012
riflessioni
1
SATOR
AREPO
TENET
OPERA
ROTAS
SATOR
AREPO
TENET
OPERA
ROTAS
Quadrato magico e formula magica latina (il contadino Arepo guida con il lavoro l'aratro). Si può leggere in tutti i sensi: dal basso, dall'alto, da destra, da sinistra. Per A.Webern è la cifra del proprio lavoro.
2
Mi chiedo: e se l'arte contemporanea non fosse, come per lo più si dà per ovvio, un'arte per i sensi, per l'udito per l'occhio,ecc, ma per l'anima? Che l'arte "medievale"sconvolse le regole, pur ancora ben note, di quella precedente adottando un paradigma dell'anima, è penseiro condiviso. La stessa cosa é avvenuta poi con il volume e lo spazio prospettico. E' allora possibile che anche questa nostra arte contemporanea non sia per rivolgersi solo al corpo e alla materia, e in modo scisso e contrapposto allo spirituale?
In che senso?
3
Il mercato ha bisogno di novitá per sorprendere invogliare guadagnare .
L'arte é come l'angelo di Klee, va avanti solo guardando indietro. L'andare avanti é fatto della materia del passato. Nel presente, passato e futuro si incontrano.
Mi chiedo: e se l'arte contemporanea non fosse, come per lo più si dà per ovvio, un'arte per i sensi, per l'udito per l'occhio,ecc, ma per l'anima? Che l'arte "medievale"sconvolse le regole, pur ancora ben note, di quella precedente adottando un paradigma dell'anima, è penseiro condiviso. La stessa cosa é avvenuta poi con il volume e lo spazio prospettico. E' allora possibile che anche questa nostra arte contemporanea non sia per rivolgersi solo al corpo e alla materia, e in modo scisso e contrapposto allo spirituale?
In che senso?
3
Il mercato ha bisogno di novitá per sorprendere invogliare guadagnare .
L'arte é come l'angelo di Klee, va avanti solo guardando indietro. L'andare avanti é fatto della materia del passato. Nel presente, passato e futuro si incontrano.
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