Melancholia di Lars von Trier (Fernanda Mancini)
Film bellissimo, a cominciare dal prologo, che come in un inizio di sinfonia sintetizza i temi principali, "mette in scena" i punti essenziali, che la vicenda poi svilupperà, aiutando così la nostra attenzione a focalizzarsi da subito sui nodi che von Trier ritiene significanti, aiutando la nostra Stimmung a con-formarsi.
Una vera e propria messa in scena, perchè il ricorso alla letteratura visiva è grandissimo ed originale (non solo nel prologo). Ma soprattutto domina in questo inizio la potenza non della natura, ma del sublime nella natura, un convissuto riferimento kantiano, declinato sulla scala negativa di questo secolo e del precedente. Maestose invenzioni sceniche di mondi e di stelle, di fiumi acque volumi arborei e l'uomo, anzi la donna presa dalla nella e per la natura, legata e stregata, invischiata e sapiente. Pezzo di natura essa stessa, in lotta con se stessa, il prezzo del suo sapere: la melancholia, fatta della materia di Saturno, che colpisce artisti e scienziati, come ci dice Duerer attraverso Panofski.
Non resta che accettare, accogliere perchè qui è la forma possibile del sapere, il punto in cui vita e sapere sono uno. Niente si dimostra il sapere scientifico, tentativo di domare l'indomabile, piccola conchiglia per il mare troppo grande dell'universo, che conduce al niente, che non è quello della paura, bensì quello del ridicolo, dell'inconsistenza e del tradimento, una dichiarazione di fallimento che investe, a retrocedere, tutte le cellule del prima, da qui il ridicolo-patetico del marito di Claire, che si precipita nel suicidio.
Il rapporto tra le sorelle alla fine inverte il segno, e l'equilibrio di Claire, incapace di accogliere e di sapere, si affida al più consapevole malessere di Justine, per salvare, nel ritorno dell'insignificanza umana alla prepotenza della natura, la dignità della fine e l'amore per sè, per la sorella per il figlio.
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