venerdì 31 maggio 2024
"Trasparenze" il mio testo sull'arte di Stefania Salvadori
Avevamo un progetto comune Stefania ed io, e l’abbiamo ancora, aprire i nostri studi per un tempo necessariamente breve (perché poi ci si torna a lavorare!) per mostrare ad amici e interessati il procedere, fermato ogni volta nella concretezza della mostra, del nostro ricercare in arte. Ma siccome lei è bravissima e infaticabile mi ha preceduta, così nel pomeriggio di sabato 1. giugno apre il suo studio per l’esposizione dei suoi ultimi lavori, titolo “Lavori di Stefania Salvadori” appunto. Abituata all’equilibrio della centratura dal lavoro di psicoanalista, per questa occasione ha prodotto anche un libro di accompagnamento ai lavori, io vi ho scritto una breve nota.***************************************************************************************+
Stefania 2024 “Trasparenze”*************************************************
Piccoli gesti quotidiani, drammatizzazione. Prove di espressività gestuale, linguaggio del corpo.
Piccoli gesti quotidiani, enigmatici fascinosi, stesi a volare tra evanescenti e rarefatti bianchi di nuvola e le preziosità dell’oro e della consapevolezza, la ripetizione li salva dislocandoli nell’anfiteatro etereo di questo spazio trasformato, dove noi spettatori siamo chiamati a vivere la discesa che purifica sacrificando l’ingenuità in silenzio ammutolito e meditante. Chiamati a vivere le mille vite che siamo. A soffrire nel silenzio, patire nell’intuizione, la propria e l’umana tragedia, ma anche, e qui l’arte si fa sottile e potentemente penetrante, il senso, che appena si adombra, di un chiarore in lontananza: la trasparenza è l’arte praticata da Stefania, compatta la superficie con la profondità, ne fa una cosa sola e dalla pelle parla molto altro.
Linguaggio del corpo, dicevo. Disseminati ovunque bianchi veli avvolgono ornano e piuttosto coprono, accompagnando lo scorrere di semplici gesti quotidiani, atti della vita, come Stefania li ha colti e fissati sulla tela. Accanto, nel mezzo, la molteplicità dell’io si annuncia sotto la superficie del corpo nudo, la nudità della superficie che indossiamo quotidianamente e offriamo all’evidenza ingannatrice dello sguardo, i conflitti invisibili nascosti sotto la pelle. Molte le donne con cui la nube bianca gioca, la giovane la bambina la madre e ancora lo stesso vaporoso bianco avvolge la sposa, una macchia di nero a nascondere l’assenza di volto. Tutte sembrano quasi foto di scena, fermate un attimo prima oppure dopo la rappresentazione, il che è indifferente, la rappresentazione è sempre ora, in ogni momento, e proprio perciò è anche sempre già stata. Tutte intrinsecamente figure sostanziali di questo dramma della vita che Stefania ha scritto tela dopo tela, episodio dopo episodio, nel tempo della sua vita, nei suoi umori e Erlebnisse, e che hanno la forza di uscire dalla trama solo apparentemente occasionale dell’evento personale e divenire vera rappresentazione di uno sguardo teso a cogliere nella singolarità il destino, la storia di ciascuno.
Lo scorso anno, Stefania fissava sulle pareti di questo suo spazio d’arte (come notavo allora, luogo certo non semplice, anzi complesso di varie stratificazioni), fissava il movimento danzante dei corpi delle donne, “le forme leggere e movenze armoniose”, scrivevo nell’occasione, però “qualcosa si nasconde nei sottili stridori” che sentivo emergere da ombre nascoste in agguato, “un dolore sommesso”, che serpeggiava sprigionandosi dalla praticata arte della contrapposizione di bianco e di nero, rari gli “altri” colori, e colpita scrivevo “Osservando attentamente mi rendo conto che il lavoro dell’artista è un “mettere in scena”, e qui emerge una vicinanza, forse inconsapevole – ma non importa -, da un lato al teatro della tragedia greca, la cui forma originaria è la dedicazione, officiata con il sacrificio di un capro e dunque anche l’affinità della storia messa in scena al dio Dioniso. Dall’altro la vicinanza alla finalità catartica della tragedia: vedersi agire, attraverso gli attori “Persone” del dramma, nelle proprie intime e nascoste passioni, è portarle emozionalmente e in un lampo di esperienza alla consapevolezza, è catarsi nel senso che è il movimento per cui, nel proprio intimo, ciascun spettatore rivive i passaggi della tragedia nel contesto del proprio agire e delle proprie passioni sul palcoscenico quotidiano dei desideri, della famiglia e della città”, Dioniso, congiuntamente dio del riso sfrontato e del pianto smembrato.
Dal conflitto, cucinato da Stefania nelle storte del suo laboratorio al piano inferiore, dove avviene il processo di creazione artistica, durante il quale la coscienza dell’artista cresce con le sue creature e la personalità ordinaria si trasforma in creatrice, da quel conflitto è ora germogliata la piena consapevolezza della forza della rappresentazione. Perciò ciascuno, a condizione di guardare con l’anima, può giustamente riconoscersi nell’uno nessuno e centomila che agisce sulla tela, esattamente come può fare, a catarsi compiuta, nella vita che conduce, e che solo l’arte sa e può stanare con un semplice gesto, un accento. I gesti sono stati trasformati da Stefania in gesta, che simbolicamente dal palcoscenico-parete si sono aperte la strada verso l’interno dell’interiorità, muovono e commuovono, attraversando la staticità dell’io-spettatore, quasi guscio ormai, scorza che sta per essere superata da una nuova consapevolezza. Il sommovimento interno al guscio porta dolore finché scatta il battito della farfalla.
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lunedì 6 maggio 2024
Alcuni miei lavori pubblicati nel libro "Registri d'arte", di Mariano Apa
Nei ciclici sommovimenti dello studio, mio luogo di ricercato e felice
isolamento, gli scritti si affastellano alle cose raccolte per strada, ai lavori
finiti, ai tentativi abbandonati per un altro momento, alle brutte copie delle
poesie agli studi di nuove intuzioni, gli inviti alle locandine e ai libri,
perché vige la regola "Non gettar via nulla!". Ogni tanto però cerco almeno di
fare ordine, ma dura poco e poco è il tempo da dedicare a questa cosa, sicché
quasi sempre è caos. Però è un disordine capace di sorprendermi, di donare nuovi
sguardi su vecchie cose, di scoperte di affinità e legami maturati proprio lì
nel miscuglio alogico del caos, che ormai è un caro amico compagno di vita. Di
lì è riaffiorato un libro dove sono pubblicati alcuni studi che feci tempo fa
sulla scuola d'arte di Beuron - in Baviera - e sul Canone di Lenz, ripreso da
Paul Sérusier tra la fine dell'800 e l'inizio del '900. Sérusier aveva prima già
incontrato Paul Gauguin e faceva parte di quella ristretta compagine di pittori
che raggiungeva il Maestro a Pont-Aven in Bretagna. Dunque perciò aveva
elaborato una sua ricerca e uno stile tenendo conto di entrambe le esperienze.
Il libro riemerso è di Mariano Apa, "Registri di Arte. Le necessità del Sacro.
Un album di Immagini", edito da Gangemi nel 2021.
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