WALLACE STEVENS
Il senso evidente delle cose
Dopo che le foglie sono cadute, torniamo
al senso evidente delle cose. E’ come se
fossimo giunti alla fine dell’immaginazione,
trapassata in inerte sapere.
E’ difficile persino trovare l’aggettivo
per questo freddo vuoto, questa tristezza senza ragione.
La grande struttura è diventata una casa qualunque.
Nessun turbante traversa i pavimenti invecchiati.
Mai così tanto la serra bisognò che fosse dipinta.
Il camino ha cinquant’anni e si curva di lato.
Un incomparabile sforzo ha fallito, una ripetizione
nel ripetuto ritorno di uomini e mosche.
L’assenza di immaginazione doveva tuttavia
essere immaginata. Il grande stagno,
il suo senso evidente, irriflesso, le foglie,
il fango, l’acqua come vetro sporco, emanano un silenzio,
come il silenzio di un topo venuto a vedere,
il grande stagno e il suo spreco di gigli, tutto
si doveva immaginare, come una conoscenza inevitabile,
richiesta, siccome necessità richiede
È inverno. Questa poesia ci parla dell'inverno, quello delle stagioni e quello della vita. Ma non solo. È inverno quando passano i colori, quando l'esuberanza cessa e la ridondanza si raffredda e cade come un pezzo di linfa ghiacciata, e fa male. È inverno dopo l'autunno, è inverno dopo la giovinezza e la maturità, è inverno nella povertà.
La ricca immaginazione crea mondi basati sulla speranza. Cosa succede quando la speranza ci abbandona? Se ne va anche l'immaginazione? No, ci dice Stevens, proprio allora essa arriva alla necessità delle cose, alle cose come sono nel loro necessario essere necessariamente.
Sora povertà la chiamava Francesco, cosa succede quando la povertà è una scelta, la nostra sorella che abbiamo scelta come compagna nel tempo della necessità. Cosa succede all'immaginazione portata oltre il suo abituale immaginare, quando si compie la svolta, il salto nell'inimmaginato? Non più immaginare ciò che la speranza vuole, il compimento del desiderio. Questo non è più possibile in inverno, giacché esso è il tempo delle cose necessarie, vere autentiche inevitabili. La povertà ci pone faccia a faccia con l'ineludibile, con le domande ultime, le sole che contino, le sole che sempre aggiscono dal fondo, a nostra insaputa, e dunque in modi distorti.
Questa poesia ci porta sull'orlo estremo, ciascuno di noi è chiamato individualmente alla risposta.
È interessante anche seguire i percorsi che da questa poesia si aprono o arrivano. Bonaventura per esempio, alle prese con aree problematiche affini, scriveva più o meno, che tutte le cose -create- del mondo sensibile sono esemplificazioni poste innanzi alle nostre menti, ancora prive di raffinatezze e orientate verso i sensi, sicché esse cose, da questi similitudini che sono le cose sensibili, possano trasferirsi alle intellegibili, che le menti non sono in grado di vedere. E lo diceva, credo, senza svalutazione del reale.
Scrive San Bonaventura: "Sono però i sensibili esterni a entrare dapprima nell'anima attraverso le porte dei cinque sensi, ma non con la loro sostanza bensì per mezzo di similitudini che essi generano nell'elemento intermedio e poi dall'elemento intermedio nell'organo esterno e poi in quello interno; e da questo nella facoltà apprensiva. Così la generazione della specie nell'elemento di mezzo e da questo nell'organo e il convergere della facoltà apprensiva su di essa, produce l'apprendimento di tutte le cose che l'anima coglie fuori di sé". Al proposito si veda il gruppo di opere che feci nel gennaio 2015.
Croce con chiave e fiori, cartone chiave fiori, 2020
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