In compagnia di Yeats "Verso Bisanzio" e del lied di Rueckert "Ich bin der Welt abhanden gekommen”, musicato da Mahler.
Inattuale è il mio tempo
la profondità degli abissi
e il mare che li copre
inattuale l'odore della morte
che la vita mantiene e sopporta
inattuale il tempo della mia erranza
(Fernanda Mancini)
"Percorrevo la strada del giorno e tu camminavi al mio fianco, mettendo insieme tutti i pezzi e facendomi scorgere in ogni frammentol'intero"
(Jung, Libro rosso, p.19)
"Perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo"
(Giovanni,17,14)
Pubblico qui di seguito uno scritto di Jung, ripreso da una pubblicazione del Centro di ascolto psicologico
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Carl
Gustav Jung (psicoanalista svizzero) parla con semplicità della nostra
vita e della modernità esprimendo un parere critico e la necessità di
rivolgere la nostra attenzione anche verso aspetti più semplici e
spirituali del nostro vivere. Carl Gustav Jung, Ritorno alla vita semplice, In “Opere vol. 10/2”, Bollati Boringhieri
Che cosa pensa di un ritorno (…) alla vita semplice?
Carl Gustav Jung –
Il ritorno a una vita semplice si può considerare come un insperato
colpo di fortuna, benché tale “ritorno” richieda rinunce non lievi e non
venga inoltre neppure intrapreso volontariamente. La maggiore facilità
nelle comunicazioni e le sensazioni a buon mercato offerte dal cinema,
dalla radio, dai giornali e da mille altre “occasioni” di ogni sorta,
hanno, in questi ultimi anni, fatto avvicinare sempre più a grandi passi
la vita umana alla frenesia della vita americana. (…)Tutti i mezzi che
dovrebbero servire a far risparmiare tempo, come la facilità nelle
comunicazioni e altre comodità, paradossalmente non servono affatto a
questo scopo, ma soltanto a riempire talmente il tempo a disposizione,
che poi non ne rimane più per nulla. È inevitabile allora che ne
derivino fretta convulsa, superficialità e affaticamento nervoso, con
tutti i sintomi concomitanti come fame di stimoli, impazienza,
irritabilità e instabilità. Un simile stato può portare a tutto fuorché a
un arricchimento della mente e del cuore.
Lei crede a un ritorno ai tesori della nostra civiltà?
Carl Gustav Jung –
Come mostra l’incremento nelle vendite librarie che si è verificato in
alcuni paesi, in casi estremi potrà perfino succedere che si torni a
prendere in mano un buon libro. Una risoluzione di questo genere però
deve purtroppo sempre essere indotta da circostanze esterne. Senza uno
stato di necessità, alla massa non verrebbe mai in mente di ritornare ai
“tesori della civiltà”. All’uomo è stata così a lungo inculcata
l’illusione di un continuo e progressivo miglioramento della civiltà,
che si cerca di dimenticare il più in fretta possibile ciò che è vecchio
per non perdere la coincidenza con il mondo nuovo e migliore la cui
immagine viene continuamente sbandierata sotto il naso della gente da
incorreggibili progressisti. La nostra nevrastenica ricerca della novità
di domani è una malattia e non è civiltà. Civiltà significa
essenzialmente continuità e prevede un’ampia conservazione dell’antico;
la ricerca del nuovo invece crea inciviltà e sfocia in pura barbarie.
Questa provvederà, o dovrà provvedere, a far sì che addirittura un
intero popolo aspiri a quella civiltà che ha già quasi (o completamente)
perduto, seguendo l’illusione di un futuro miglioramento del mondo (che
si verifica di rado oppure può non verificarsi mai). Purtroppo è
connaturale al nostro mondo, o alla struttura morale dell’umanità, il
fatto che nessun progresso e nessun miglioramento presenti soltanto un
lato buono, poiché quanto prima compare il relativo abuso, che tramuta
la benedizione in maledizione. Chi potrebbe mai seriamente pensare che
le nostre guerre siano “migliori” di quelle dei romani?
L’organizzazione
di massa cui si tende oggigiorno sottrae ogni individuo alla sua
riflessione privata per trascinarlo nel tumulto assordante dell’arena e
lo rende una particella inconsapevole e perciò priva di qualunque
importanza e significato, che alla fine soccombe irrimediabilmente a
ogni forma di suggestione. Il richiamo sempre efficace è quello al
cosiddetto “futuro migliore”, che impedisce di integrarsi nel presente
in cui si vive in realtà e di trarre il meglio da ciò che si ha a
disposizione. In tal modo non si vive più nel presente e per il futuro, ma già (in modo irrealistico) nel futuro,
defraudati del presente e ancor più del passato, staccati dalle radici,
sradicati, privati di ogni continuità ed eternamente delusi dalla fata
morgana di un futuro “migliore”. È necessaria una violenta delusione per
ricondurre ai sani fondamenti della tradizione la gran messe di sogni
illusori e riportarli a godere le benedizioni di una civiltà, su cui
l’“età del progresso” ha operato distruzioni con tutti i mezzi della sua
critica più corrosiva. Si pensi soltanto ai guasti morali che ha
provocato il materialismo, questa trovata d’intellettuali del
passato, che è sorretta da argomentazioni veramente infantili. Sarà
difficile riuscire a liberarsi di questo modo di pensare che è reso
tanto popolare dalla sua stupidità.
Crede allapossibilità di trasferire la felicità dalla sfera materiale a quella spirituale?
Carl Gustav Jung –
Il trasferimento dell’ideale di vita dalla sfera materiale a quella
spirituale è una faccenda spinosa, in quanto la felicità materiale è una
cosa tangibile (qualora la si sia raggiunta), mentre lo spirito è una
grandezza invisibile e perciò stesso difficile da scoprire o da
dimostrare. Si suppone perfino che ciò che si definisce “spirito”
consista perlopiù in vane ciance e belle parole. Un prosciutto a portata
di mano risulta in genere più convincente di una pratica di devozioni;
in altre parole: per poter trovare felicità nello spirito, bisogna già
possederne una buona provvista. Una vita di benessere assicurato ha
convinto ciascuno di noi della bontà di tutte le gioie materiali
dell’esistenza e ha perfino costretto lo spirito a scovare mezzi e vie
ancora più efficaci per ottenere benessere materiale, ma non ha mai prodotto spirito.
Generatori di spirito sono solo lo stato di bisogno, la delusione, la
rinuncia. Chi riesce a trovare ancora la forza di vivere e di
considerare, nonostante tutto, la vita degna di essere vissuta, ha
scoperto lo spirito, o perlomeno ne ha intravisto alcuni sprazzi.
Restano però sempre rarissimi coloro che siano nel loro intimo realmente
persuasi che la felicità materiale costituisca anche un pericolo per lo
spirito e che, per amore di questo, riescano perciò a rinunciare in
maggior misura ai beni del mondo. Spero dunque che il flagello di Dio,
abbattutosi ora sull’Europa (ndr. la seconda guerra mondiale)
, convinca i popoli che questo mondo, il quale in passato non è mai
stato il migliore dei mondi possibili, non lo sarà neanche in futuro.
Esso contiene in sé, come sempre, giorno e notte, luce e tenebre, gioie
fugaci e lunghe pene, è campo di battaglia senza tregua né pace, poiché
non è null’altro che l’arena dove giostra l’avidità umana. Ma lo spirito
costituisce un aldilà in questo aldiquà. Poiché esso non rappresenta un
rifugio per gli ignavi, lo possiede soltanto colui che patisce la
vita in questo mondo e che riesce ad accogliere con amabile perplessità
perfino la felicità mondana che gli tocca in sorte. Certo, se
l’insegnamento cristiano non fosse stato totalmente messo da parte per
far posto a tutto questo “progresso” tecnologico, quelle valanghe che
ora minacciano di seppellire l’Europa non si sarebbero mai messe in
moto. La fede nel mondo non lascia però alcuno spazio né allo spirito
cristiano, né a qualsiasi altro spirito proficuo. Lo spirito rimane
sempre celato e protetto di fronte al mondo ed è perciò un santuario
inviolabile per chiunque abbia ripudiato definitivamente non tanto il
mondo, quanto la fede che si ripone in esso.